Thibaut Pinot (Groupama-FdJ) ha annunciato il proprio ritiro dal professionismo al termine della stagione 2023. A soli 33 anni si ritirerà un altro corridore di fama (la stessa età di Fabio Aru), ma con una personalità che ha sempre spiccato per le contraddizioni. Un personaggio che in molti hanno amato ed altri ha infastidito, sicuramente un personaggio “diverso”: la passione per la natura, gli animali, l’account instagram di una propria capretta, le foto social non con apocalittici giri da milioni di metri di dislivello, ma di carpe pescate nella notte. Timidissimo e introverso, ma anche prono ad esplosioni di rabbia o pianto.
Una delle domande che si sono sempre sentite spesso al suo riguardo è se sia un campione o meno. A guardare i numeri si potrebbe dire che ci è andato vicino (a parte per chi ha solo Merckx come parametro): 33 vittorie da professionista, un Lombardia, 3 tappe al Tour, 2 tappe alla Vuelta, un Tour of the Alps, un Criterium International, ma anche tanti piazzamenti di prestigio assoluto: 3° al Tour de France 2014, 3° al Lombardia 2015, 4° al Giro d’Italia 2017 (malato nell’ultima settimana) , 2° al Dauphiné 2020, 2° al Romandia 2016. Eppure è proprio lui che, nel suo stile, ha tagliato la testa al toro sull’argomento in un’intervista a l’Equipe:
“Credo di essere stato un buon corridore, ma non un campione. I campioni sono 4-5 per generazione ed io non ne ho fatto certamente parte. Non ho vinto le corse che fanno un campione: un Tour, tre monumenti, quindici corse all’anno….ma quello che ho vinto mi sta bene. I campioni non mi attirano, non sono mai stato con gli occhi spalancati davanti la tv. Ho potuto fare la vita che ho sempre sognato anche perché non ho vinto un Tour. La mia vita sarebbe cambiata troppo. E’ anche per questo che non ho rimpianti. Non ho mai voluto avere la vita del campione“.
Parole che si potrebbero prendere come una giustificazione, o ricordare la favola della volpe e l’uva, ma per chi conosce Pinot non sono parole che suonano strane, come ha confermato il suo Team Manager di una vita, Marc Madiot (Pinot ha corso tutta la carriera, 14 stagioni, nella stessa squadra, sempre con Madiot): “Quel Tour (quello del 2019 , in cui Pinot si è ritirato quando era 5° in generale, a 10″ da Bernal-ndr-) è stato la sinfonia incompiuta. Un giorno gli ho chiesto se aveva veramente voglia di vincere il Tour e se ci pensava la mattina mentre si faceva la barba. Mi ha risposto di no. Allora ci pensavo io la mattina per lui“.
Pinot nella sua essenza: ad un passo dalla vittoria che cambia una vita, ma il non volerlo veramente. “Ho sempre detto che quando non sarei piu’ stato in grado di vincere mi sarei ritirato, e parlo di vincere sui pedali. Sono sempre stato lucido sulle mie capacità. So che non arriverò piu’ al mio livello del 2019. Quello che tutti si aspettavano da me era vincere il Tour. Tutto li. Ma non tiro una tacca sul muro ogni mattina pensando che mi restano nove mesi da correre. Sono sereno, non ho paura di una “piccola morte” o cose del genere. Da quando ho preso la mia decisione mi sento molto piu’ libero e meno nervoso. Sono veramente motivato per vincere il piu’ possibile, terminare in alto, e faro’ di tutto per riuscirci. Ho annunciato presto il mio ritiro per liberarmi di questo peso e godermi tutte le ultime volte”.
Ma l’obiettivo n°1 resta il Giro. Almeno una tappa da vincere. “Per rivincita” dice Pinot. L’ultimo Giro corso dal francese è stato quello del 2018, che pero’ gli ha riservato l’amarissimo ritiro alla 20^tappa, quando era 3° in classifica generale (a 3′ da Froome e 7″ da Carapaz). A fine tappa arrivo’ al traguardo con 45 minuti di ritardo. Portato all’ospedale in ambulanza gli fu diagnosticato un inizio di polmonite:
“Voglio una rivincita perché la mia ultima immagine del Giro è all’ospedale. Anche se l’ho disputato solo due volte per me resterà sempre la corsa piu’ bella. Non posso finire la mia storia col Giro con un abbandono in ambulanza. Voglio vincere una tappa.”
Al Tour ci sarà, ma solo per aiutare Gaudu. D’altronde la passerella finale per un francese non puo’ non passare per il Tour. Per tutto questo Pinot assicura di essersi preparato bene, facendo un “vero inverno”. Ora è in stage a Tenerife con la squadra. Come tutti. Ma Pinot non è mai stato come tutti, come ha raccontato Madiot nel suo classico stile:
“E’ un romantico perso nel 21° secolo. Dice di voler stare sempre tranquillo perché nessuno gli rompa le palle e poi mette le sue uscite coi dati su Strava. E’ uno che sembra sempre sul punto di spezzarsi, ma non si spezza mai. E’ una testa dura. Si allena veramente duro, sa come farsi male davvero, ma allo stesso tempo quando gli ho proposto dei miglioramenti, in ogni campo, non ha mai accettato o lo ha fatto con 4 anni di ritardo sugli altri. E’ un paradosso. Ad esempio allenarsi in altitudine. Ci ho provato per un sacco di tempo, ma non è mai stato convinto. Tutti vanno in altitudine. Ecco, il mio rimpianto è questo, che non abbia cercato di migliorare tutto quello che poteva permettergli di andare piu’ veloce. Ma è fatto cosi“.
E la cosa è sempre stata confermata da Pinot senza troppi problemi: “Il ciclismo è uno sport che ti ricorda chi sei. Non puoi far finta. Ti insegna il rigore, la sofferenza, ad andare oltre i tuoi limiti. Quando ci si allena e fa -10°, piove, nevica. Non ci si fa domande“.
Ma allo tesso tempo niente stage in altitudine o in paesi con climi meno rigidi, per anni. Per non parlare degli odiati rulli: “Ci puoi stare sopra 4-5h al giorno, ma ho l’impressione che siano 24.”.
Ed è proprio sui rulli che gli è venuta la prima idea del ritiro, durante il lockdown causa Covid: “E’ stata la prima volta che ho avuto l’impressione di essere me stesso. Sono state delle vacanze imposte, senza stress, senza pressione, senza dover correre dappertutto. Da quel momento in poi mi sono posto non poche domande. Sul perché vivevo sempre a 1000 all’ora, senza mai godermi il presente. Quasi subito dopo il lockdown mi sono fatto male (alla Paris-Nice, alla schiena per una caduta-ndr-) e di colpo è come se avessi avuto delle risposte“.
E quindi finalmente la realizzazione di quello che vuole per il proseguo della vita: “la bici mi ha preso un terzo della mia vita, ed ora ho voglia di consacrarmi alla mia seconda passione, gli animali, la natura. Ho sempre voluto creare delle cose a partire da quello che la natura ci offre: coltivare frutta, verdura, quello che gli animali possono darci. Fare l’albergatore. Mi prendero’ il tempo di fare tutto. Ho anche voglia di fare sport, magari del trail running o dello sci di fondo. Mi piacerebbe. Penso sia importante per me che sono iperattivo“.
Alla fine si potrebbe pensare che per Pinot i rimpianti siano tanti, ma non è il tipo: “Ho vinto piu’ di quello che potevo sperare. Quando sono passato pro non avrei mai immaginato di vincere cosi’ tante belle corse. E poi sono rimasto integro nella mia filosofia per tutta la mia carriera*. Sono soddisfatto. Avevo i numeri “crudi” per vincere piu’ corse, un grande giro per esempio, ma non bastano nel ciclismo”
*(Quante volte ho fatto 2° o 3° sapendo benissimo, o dubitando fortemente, che in realtà la vittoria era mia… Mi sono sempre detto che un ragazzo dopato forse si stava allenando meno duro di me, che potevo compensare allenandomi e soffrendo di più“).
Anzi, è la solita contraddizione: “La mia carriera è tutta un incompiuto. Non solamente il Tour 2019. I momenti in cui sono stato al 100% senza alcun problema si contano sulle dita di due mani in 14 anni. Ho sempre avuto qualche sfiga. Penso che il Giro 2017 se non fossi stato malato per 10 giorni in corsa avrei potuto vincerlo (ha chiuso 4° a 1’17” da Dumoulin -ndr-). Molti non se ne sono accorti, ma per me sono stato piu’ vicino alla vittoria li che al Tour 2019. E’ la mia fragilità e l’ho accettata. Ora se mi viene una bronchite quando devo potare i meli non è grave“.
Ma poi c’è la sintesi: “il ciclismo è una parentesi. Malgrado le sofferenze si fa comunque una vita molto piu’ confortevole che la norma. Quando sei in corsa non devi occuparti di nulla. Per questo ho sempre voluto avere un’altra vita oltre alla bici, con la fattoria, che mi riportasse alla vita vera. E quando sono nell’orto o a pescare sono molto piu’ disteso. La natura mi calma, mi da pace“.
Ed i rulli?
“Sarà la prima cosa che vendero’ quando avro’ smesso“.
Quindi una persona libera di essere sé stessa, nonostante tutte le pressioni. Consapevole.
Al di là che mi è sempre piaciuto come ciclista, l'ho sempre stimata per questo suo non essere banale. Non ne posso più di sentire interviste fotocopia tipo "ringrazio la squadra per il supporto e gli sponsor per i materiali".
Spero proprio faccia sua una bella tappa al Giro,