Il seguente articolo è un misto di riflessioni, esperienze ed alcuni spunti tecnici prendendo come occasione la recente (domenica 31) Oetzaler Radmarathon. In questo caso con il punto di vista e l’approccio che ha avuto, anche con la mia consulenza, l’atleta Marco.
Vado così a colmare, in parte, le richieste di confronto e approfondimento sulla prestazione di un atleta che non sia di “vertice”. Tale analisi e articolo è stato pubblicato alcuni mesi fa (LINK). Nel mantenere quanto più intatto il testo originale di Marco le mie note e osservazioni saranno sottolineate ed espresse per punti a conclusione di questo “tuffo” nella sua prova ed emozioni. Grazie per il tuo contributo e buona lettura!
Difficile scrivere un pezzo sull’Oetzaler Radmarathon senza essere troppo scontati, retorici o scadere in banali personalismi.
Partiamo dalla fine: arrivo a Solden poco dopo le 3 del pomeriggio, 8 ore e 28 minuti di gara. Un tempo molto alto pensando alle 7 ore e poco più dei primi. Un buon tempo per me che non ero mai riuscito a scendere sotto le 8,30. Obiettivo raggiunto.
Ma in tutta la corsa non ho mai pensato al tempo, ma unicamente a fare le cose per bene: una buona prestazione usando la testa oltre le gambe.
Il fascino di una Gran Fondo come l’Oetzaler sta in questo. Non è una corsa semplice. Tanti ingredienti la rendono difficile: è lontana, il meteo è spesso pessimo, la partenza è alle 6:30 (in griglia alle 5,30), 4 passi in quota, lunghezza e una salita di 29 km e 1800 metri di dislivello da affrontare dopo circa 180 km di gara.
Tanto a cui pensare: cosa e quando mangiare (non solo in gara ma anche il giorno prima. I ristoranti austriaci sono molto pericolosi per gli stomaci sensibili…), come vestirsi, che passo tenere nelle diversi fasi di gara, quali ruote usare, come gestire le crisi che sicuramente arriveranno. Cose che pensiamo in ogni gara ma che qui diventano decisive. Basta pensare a quello che sarebbe scendere sotto la pioggia da un colle di 2.500 metri con abbigliamento non adeguato o andare in ipoglicemia nella salita finale del Rombo.
Non si può pensare di saltare e poi andare tranquilli all’arrivo. Se si salta sul Rombo si rischia davvero di arrivare a Solden dopo ore di patimenti e imprecazioni. Esperienza vissuta lo scorso anno e in misura minore nel 2011.
Un po’ per tutte queste ragioni non ho mai visto facce troppo rilassate in griglia a Solden. Hanno tutti la propria densa quota di demoni da scacciare. Anche i primi, anche quelli che sono solitamente spavaldi e sorridenti.
Forse anche per l’organizzazione teutonica che ricopre l’evento con un alone di professionalità estrema. Sembra di essere professionisti al Tour. Mi colpisce sempre il fatto che la riunione tecnica del giorno prima sia un momento seguitissimo capace di riempire la mitica Freizeit Arena. Tutti in ansia per le ultime novità su meteo, percorso, regolamento.
E le facce sono serie, pensierose. Facce da tutto il mondo che sono qui proprio per questo.
Basta pensare che alle 21 della sera prima hanno mandato un Sms a tutti: “previsti forti temporali dalle 12, portarsi abbigliamento adeguato”. Tanto per ribadire che non si partiva per una scampagnata…
Alcuni anni fa ridevo quando leggevo il claim dell’evento “Ich habe eine traum”, “ho un sogno” in italiano. Pensavo alla solita scontatissima frase di marketing per attirare la massa, un misto di eroismo e retorica. Dopo 4 edizioni penso invece sia una frase perfetta. Chiunque arriva qui ha il proprio traum. Non importa se sia arrivare, vincere, il podio, sopravvivere o fare il tempo. E’ un sogno che accompagna tutta la stagione e non ti molla mai.
Questa ampia digressione iniziale per inquadrare l’evento. Purtroppo dovevano essere poche righe, e invece mi son fatto prendere la mano.
Andiamo adesso al tema del pezzo: come si prepara questo sogno?
Alcuni vi diranno che non si può preparare. E’ un percorso troppo lungo e faticoso per un semplice amatore che sta in ufficio dalle 8 alle 12 ore al giorno. Ci vuole almeno un lungo ogni mercoledì di durata imprecisata sulle più elevate salite alpine.
Vi diranno che bastano le altre Gran fondo e poi si viene qui e si segue il proprio passo sulle salite. Altri vi diranno di stare a casa. Altri ancora, per lo più preparatori e tecnici, vi diranno che questo non è ciclismo, non è una corsa, è un inutile giro in montagna come tanti altri. Gli amici più agonisti ci chiederanno per l’ennesima volta perché non andate a fare le corse in circuito il sabato pomeriggio invece di complicarvi la vita in montagna. Fra l’altro avete un fisico più da velocista che da scalatore…
Gli anni precedenti ero sempre venuto qui facendo leva su una fitta stagione di Gran fondo, sperando di inventarmi qualcosa sul momento. Qualche pedalata in montagna d’estate, diversi giri molto lunghi su passi e colli senza badare troppo a qualità e intensità, soprattutto per divertirsi. E poi una settimana in quota. Si sa che cambia tutto, rigenera il fisico, modifica i valori e prepara alle più straordinarie imprese. Basta crederlo.
Quest’anno avevo scelto Giordana e Maratona delle Dolomiti come obiettivi principali, dopo la solite corse primaverili. La scelta definitiva di fare l’Oetzaler è arrivata dopo una buona Maratona.
Tutta una stagione con tanti allenamenti specifici grazie all’inflessibile Professor Massa. Più che un coach, un docente universitario per la quantità enorme di conoscenze sul ciclismo e sulle metodologie di allenamento. Giustamente severo per gli scolari testardi come me. [1]
A luglio pensavo di staccare per qualche settimana. Solo giri rilassanti, niente gare, uscite al medio sempre.[2] Tanto Solden sarebbe arrivata a fine estate e sarei stato pronto quasi per magia. “Peccato” che il Professore segua un approccio scientifico e non le mie sensazioni… [3]
In due mesi, invece di ridurre il carico per produrre una ben non precisata freschezza, ha iniziato a incrementarlo. E chi conosce TSS e IF sa cosa significa.[4]
E lo ha fatto lavorando più sull’IF che sul semplice TSS. Per i profani: mi ha obbligato a qualità anche nei miei giri di fine-settimana. Z4 bassa è diventata un mantra. Io di solito partivo forte per i miei giri sfogando gli stress settimanali, per poi trascinarmi a casa con un medio sempre più tendente al lungo. Il Prof. mi ha obbligato a mettere z4 bassa sempre. Anche nelle ultime salite prima di casa. Se salita doveva essere, era da fare con qualità.[5]
Anche nella mia settimana di vacanza in montagna. Ho lavorato intensamente: giri meno lunghi ma fatti con la testa. E ho capito che non farei mai la vita del ciclista professionista…chi pensa sia una vita semplice, probabilmente non si è mai allenato davvero.
Questo ha generato una serie di mutazioni: ho dovuto iniziare a organizzarmi, interpretando i miei giri quasi come una vera gara, cercando il modo migliore per gestirmi lungo tutta l’uscita, dal cibo alla potenza.
E la cosa incredibile è che non mi sono mai divertito così tanto in bici.[6]Pian piano ho scoperto che anche io potevo reggere sui 3-4000 mila metri di dislivello spingendo su tutte le salite. Ho scoperto che la salita più dura della Liguria si poteva fare anche due volte nello stesso giro, senza tante storie. In fondo all’Oetzaler di Beigua ce ne sono 5, mica uno solo. Adesso qualcuno dirà che l’Oetzaler ha circa 5.200 metri di salita e che sono 8 ore e non 5 o 6. Anche io l’ho detto quasi tutte le settimane al Professore. Ho anche portato la scusante che la mia testa ha bisogno di un giro sulle 8 ore per abituarsi a qualcosa di simile. Idea bocciata.[7]
Anche perché la simpatica canaglia, dopo la garetta clandestina del sabato su percorso scelto da me (essendo un generoso me lo sono sempre disegnato bello tosto..), mi proponeva alla domenica il suo menu con altre 4 ore e sempre con un bel po’ di salita in ….Z4 bassa.
Ora, io ero abituato da tempo agli sforzi più inumani il sabato oppure alla domenica, ma il secondo giorno è sempre stato giretto alla viva il Parroco, per usare un’espressione calcistica.
Invece mi sono ritrovato in strada a inseguire nuovamente i watt del giorno prima, senza raccontarmi la facile scusa della stanchezza o del mancato recupero. E ho scoperto che potevo riuscirci e che le mie capacità di recupero potevano essere allenate.[8]
Questo succedeva se in settimana mi prendevo anche i giusti momenti per il riposo e soprattutto se facevo davvero z4 bassa senza sforare sul 5, cosa che sistematicamente pagavo.
Ma più duro della salita sono stati i giorni di riposo (per noi amatori un tabù) e gli allenamenti di vero scarico. Z1 per gli esperti. Per i meno tecnici, una passeggiata con il cestino della spesa. All’inizio per me era inconcepibile perdere tempo in un’attività così apparentemente senza senso. Con il tempo ho visto invece sui dati che se non sforavo, riuscivo a recuperare meglio arrivando meno stanco agli allenamenti più impegnativi. La Polarizzazione o polirezed training come dicono gli esperti.
Non ho potuto neppure usare la scusa del maltempo (quest’anno sarei sempre stato a casa..) perché il Prof mi diceva che era comunque un’importante occasione per testare materiali e vestiario per le condizioni che a Solden avrei probabilmente trovato. E in effetti la statistica dice proprio questo. Non capisco perchè tutti noi impazziamo i giorni precedenti la gara su tutti i siti di meteo in attesa del sole, che non ci sarà quasi mai. La statistica è una scienza quasi certa, un po’ come i dati della nostra critical power. Non si può bleffare.
Ebbene, credo che questo mi abbia aiutato a capire quale poteva essere il mio “passo” più efficiente per Solden, il mio pace, come direbbero i coach Usa.
Alla fine il mio “traum” è diventato dimostrare a me stesso che ero in grado di fare quel pace anche all’Oetzaler, quanto meno fino all’inizio del Rombo, per poi gestire al meglio anche il mostro finale. E in effetti è andata più o meno così.
”Meno” perché sulla salita iniziale si poteva risparmiare di più, perché sul Brennero potevo evitare di andare davanti a tirare (volevo tenere alta la bandiera italiana e imbonire i teutonici…), perché in cima al Giovo dovevo mangiare meglio pensando al Rombo, perchè…sì lo ammetto, penso che 8:15 si potrebbe provare… [9]
“Più” perché l’Oetzaler è stata soprattutto una grande scusa per avere un Traum per tutta l’estate e per mettere insieme un percorso di crescita personale. Questo per chi crede che le tabelle, i misuratori, i preparatori, un’alimentazione corretta, siano solo tutte aridi aspetti che rovinano il grande romanticismo del ciclismo…
Questo però ha funzionato su di me, in questo periodo e con queste motivazioni. Non significa che funzionerebbe nello stesso modo su altri, con altre esigenze e disponibilità di tempo. E qui si potrebbe parlare di cosa significa Personalized training, come direbbero i coach inglesi o americani, tanto di moda. Per fortuna che ce ne sono di bravissimi anche in Italia…
Marco Briata
———
NOTE
[1] in effetti le “scornate” e quelli che alcuni definiscono “cazziatoni” non possono mancare in un rapporto di allenamento. Alcuni, purtroppo, prendono questo come un attacco alla propria persona, sfera ed elemento che però in un rapporto professionale di questa natura è subordinato e non principale. L’essere puntigliosi e a volte anche esigenti, dal mio punto di vista, è utile per sintonizzare e focalizzare l’atleta sui propri punti deboli, su cosa migliorare. Errare è umano, ma perseverare è diabolico! Se un allenatore/imparziale osservatore esterno si limita a ribadire che tutto va bene…non si mette mai in discussione, né mette in discussione il suo operato su quell’atleta. Anche l’approccio ed il carattere di ogni singolo atleta è differente, posso assicurare che Marco rientra nella categoria “determinato e generoso capoccione” ma negli ultimi mesi è stato bravo a comprendere e smussare certi, per altro tipici, errori, tra tutti l’antitesi di un approccio differenziato di carico: “going [too] fast when easy and too easy when fast”, ossia l’errore di aggiungere (cronicamente) carico quando non necessario -poiché inteso come recupero FUNZIONALE- nel non inficiare l’aspetto qualitativo del carico…quando intenso! Questo concetto di polarizzazione dentro il carico (differente ma similare al concetto di periodizzazione polarizzata) è sicuramente un aspetto importante ma sottovalutato dagli atleti amatori.
[2] il dogma del medio, corollario del punto di cui sopra; Seiler, fisiologo e ricercatore che negli ultimi anni ha studiato ed analizzato l’allenamento di centinaia di atleti di elite, lo definisce, senza mezzi termini né misure, il “buco nero” dell’intensità di carico (LINK). Non a torto è un carico che può essere insufficiente ad apportare miglioramenti qualitativi ma, come un arma a doppio taglio, contemporaneamente eccessivo se troppo estremizzato per volume. Questo non vuol dire che sia necessariamente inutile…ma, in molti casi, lo scollarsi dalla prevalenza di carico su questo limitato “dominio”, poiché relativamente semplice e di comfort, è il primo passo per far progredire atleti di livello amatoriale, sempre nei propri limiti genetici, fisiologici e di disponibilità (tempo, logistica, età anagrafica e sportiva).
[3] correggo: anche le tue sensazioni. Un feedback biunivoco tra analisi dati e tue sensazioni e modulazione di carico è il nocciolo di una programmazione poiché vengono a compararsi dati qualitativamente e quantitativamente oggettivi e tuo “percepito”. Anche in questo un allenatore può percepire un più o meno marcato miglioramento: atleti meno esperti o più “confusionari” farciscono spesso con eccessivo rumore (=fattori che non hanno influito sulla prestazione) e/o verbosità (= descrivermi quando, dove e come hanno ingerito una caramella durante l’allenamento e quante kcal contenesse…è tutto vero…) il proprio feedback.
[4] un appunto perché molte volte leggo di questi parametri come se fossero un elemento conclusivo/esaustivo e non secondario nel costrutto di un carico di allenamento. “Conoscere” questi metrics richiede poco, saperli applicare include una conoscenza di concetti generali e di “base” che sono prioritari e gerarchicamente “ a monte” per importanza rispetto al dettaglio nell’utilizzo di un determinato/singolo paradigma e metrics di riferimento. Conosciute le basi e acquisite le competenze su di esse poi ogni paradigma può essere assimilato e fatto proprio. L’utilizzo di soli termini e sigle non è certo sufficiente ed esaustivo alla conoscenza e reale utilizzo (completo) di uno strumento come un misuratore di potenza.
[5] e, escludendo lavori specifici, tutto ciò che non era salita era molto spesso polarizzato su Z2 (o anche Z1): “andare piano quando è sufficiente andare piano per cercare di incrementare il proprio livello qualitativo (e quantitativo) sulle intensità specifiche di gara”. Concetto semplice all’apparenza, meno facile da far assimilare!
[6] questo è fondamentale ed è un aspetto su cui, personalmente, punto molto. Se programmazione va a braccetto con monotonia…cambiate programmazione!
[7] bocciata perché l’equazione x tempo in sella = x tempo in allenamento è alquanto limitante oltre che semplicistico! Con questa equazione, per esempio, un atleta che fa inseguimento in pista (4Km, per gli uomini) potrebbe semplicemente puntare ad allenarsi 4Km? E, ad un estremo opposto, un randonneur dovrebbe farsi 200, 300, 400Km, ecc ogni volta per provarsi fuori dalle competizioni? E quando non riesce (per ovvi motivi) a coprire questi enormi volumi? L’allenamento ha come cardine la specificità di carico, e questa non si quantifica (solamente ed esclusivamente) in dislivello e chilometri, ma in quote di lavoro specifico.
[8] questo è un punto fondamentale per ogni granfondista. Tornando al commento precedente, l’ipotetica seduta “mostruosa” per volume ed intensità ingerita 1x settimana può sicuramente essere divertente -e in tal caso può e va inserita anche in un programma strutturato- ma poco specifica e stimolante su questo aspetto poiché lascia l’atleta per più giorni senza la possibilità di CONTINUARE su un carico focalizzato, anche se più o meno frammentato su volume/i inferiore/i.
[9a] Grafici della prova. Come riferimento “sintetico” propongo IF (Intensity factor) prima e seconda metà gara (per logistica la prima parte arriva fino alla 4^ ora), ossia il livello qualitativo della performance espressa su potenza normalizzata/FTP: 0.80 (prime 4 ore) vs 0.74 (rimanenti 4h30). E’ quindi presente un limitato delta che “certifica”, nei limiti di una partenza comunque migliorabile perché troppo “generosa”, una buona gestione ma soprattutto più che buona ripetibilità delle intensità…su un così ampio lasso di tempo, considerando anche i valori di quota che vanno a limitare le capacità aerobiche nelle salite in cui si raggiungono le altitudini più elevate (LINK rimando al punto 3)
In giallo andamento potenza (2”), rosso W’Bal, fucsia andamento potenza normalizzata, in grigio il profilo altimetrico
[9b] Andamento di carico negli ultimi 6 mesi. I miglioramenti su alcuni (non ne aggiungo altri per non appesantire il grafico) parametri aerobici hanno avuto una risposta lineare ed attesa.
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Dott. Massa Roberto
operatore sportivo, allenatore, preparatore atletico, coach
Laureato in Scienze Motorie – Sport & personal trainer
website: http://massarob.info
ritornano le Zello group chats (mercoledì o giovedì sera): LINK
FB page: http://www.facebook.com/massarob.info
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