Ugo De Rosa ci ha lasciati all’età di 89 anni. Il nome Ugo De Rosa resterà indissolubilmente legato al mondo del ciclismo. Le bici con il “cuore” fanno parte della tradizione italiana, ma qui vorremmo celebrare non tanto le bici, ma l’uomo che le creava. Ugo De Rosa era uomo di poche parole. L’ho incontrato nella sua azienda anni fa, e non poteva non colpire come fosse molto parco di parole e con lo sguardo sempre basso. In fondo le sue bici rispecchiavano questo per me: la sostanza, ma anche la classe, e la classe per me è sempre fatta di sobrietà, e forse questo era il tratto che colpiva di più di Ugo De Rosa.
De Rosa ha iniziato giovanissimo, prima imparando dai fratelli Volta di Dergano, pochi km da Cusano Milanino dove abitava, come funzionavano i principi base della saldatura, e poi autocostruendosi gli utensili per costruire un telaio. Infine raffinando poi la sua pratica ed i suoi metodi (la sua arte di potrebbe dire) da autodidatta, come si usava all’epoca.
Iniziò poi a fare il meccanico per le squadre di “corridori”. Nel ’58 la casualità: arriva a Milano per una kermesse su pista Raphaël Geminiani, campione francese di grande nome (quell’anno 3° al Tour de France), ma senza bici. Un amico gli indica De Rosa per farsene fare uno. La via è imboccata. Qualche anno dopo va a fare il meccanico alla Faema, all’epoca lo squadrone da battere, con nelle sue fila Rik Van Looy, l’imperatore di Herentals, che nei 3 anni in cui De Rosa fece da meccanico per la squadra collezionò 45 vittorie (delle 162 in carriera). Faema che utilizzava bici Guerra in quegli anni.
Cosa inusitata per il tempo, De Rosa non si limitava a fare da meccanico, ma sapeva fare anche telai, e questo tornava buono in certe circostanze. Van Looy e Angelino Soler (vincitore della Vuelta ’61) utilizzarono dei telai fatti da De Rosa, ma non marchiati col suo nome. Nome che però ormai “girava” tra i professionisti e dilettanti. Sino ad arrivare alle orecchie di uno dei più forti ed amati del tempo: Gianni Motta.
Gianni Motta, classe 1943, vincitore del giro di Lombardia 1964 e del Giro d’Italia 1966, nonché di altre 46 corse da professionista. Lo abbiamo contattato per farci ricordare come è andata con De Rosa.
Gianni Motta (GM): usavo telai Colnago all’epoca. Anche se con la Molteni si usavano bici Bottecchia io avevo un accordo per utilizzare telai fatti da Colnago. Però ero molto esigente, e volevo sempre provare cose nuove, avevo delle idee mie, ed allora cercavo un telaista che mi andasse bene. Nell’ambiente si sentiva parlare molto di questo De Rosa, tra i dilettanti ad esempio. Allora sono andato a trovarlo nel suo negozietto a Cusano Milanino. Nel cortile aveva un garagino dove saldava i telai. Mi sono subito trovato bene con lui, ed ha cominciato a farmi i telai, e da allora ho sempre e solo utilizzato telai De Rosa, anche se ovviamente erano marchiati diversi. Ma nel ’69 quando sono andato alla Sanson i telai li forniva proprio De Rosa. Sì, credo di essere stato il primo professionista ad usare telai De Rosa.
Bdc: Perché si è trovato subito bene con De Rosa?
GM: Perché era un gran lavoratore, ed un grande artigiano. Uno pignolo. E tra pignoli ci si intende bene. Io gli chiedevo una cosa e lui me la faceva.
Bdc: Tipo?
GM: Qualunque cosa mi venisse in mente. Volevo il piantone più corto o più lungo di 1mm e lui me lo faceva. Volevo provare il telaio lungo con la pipa corta…o il telaio corto con la pipa lunga…e lui non batteva ciglio e me lo faceva. Ma un conto è avere l’idea, a volte anche strampalata, ed un conto è poi saperlo fare….Ugo era un grandissimo artigiano. E poi non mi ha mai mandato a quel paese (ride). Anzi, veniva ad una gara, io gli chiedevo qualcosa e lui si faceva 300km per tornare a casa, durante la notte mi saldava il telaio come glielo avevo chiesto e la mattina me lo portava pronto alla partenza di un’altra gara.
Bdc: Accondiscendente…
GM: Era uno troppo buono. Lavorava tutta la notte. Non c’era nemmeno il tempo di verniciare il telaio. Ho un sacco di foto di gare vinte su telai senza nessuna scritta. Erano i telai dell’Ugo De Rosa. Era un gran lavoratore, ma uno veramente bravo. Saldava con sempre la sigaretta tra le labbra.
Bdc: E le sue idee poi si rivelavano buone?
GM: Mi piaceva provare. Cose nuove. Un professionista cerca sempre di trovare quel qualcosa in più….ma mica tutti sono disposti a venirti incontro…anche Eddy (Merckx -ndr-) era così. Eravamo tutti e due pignoli e ci piaceva provare continuamente cose nuove. Infatti poi anche lui si è trovato bene col De Rosa.
Bdc: È vera la storia che Merckx si arrabbiò con De Rosa la prima volta che si incontrarono perché pensava non gli volesse fare un telaio, ed invece era lei che non aveva girato la richiesta di contatto di Merckx a De Rosa?
GM: (ride)…sai com’è…uno è anche un po’ geloso dei propri segreti…quindi si, mi sono “dimenticato” di dirglielo (risate).
Il nome di De Rosa è indissolubilmente legato a quello di Eddie Merckx infatti. Una volta conosciutisi, i due formarono un sodalizio duraturo, basato su stima reciproca evidentemente, ma anche affinità caratteriale, perlomeno nei modi e nelle maniere.
De Rosa accontentava Merckx in ogni modo e su ogni richiesta, fornendogli anche più di 50 telai a stagione, con differenze minime, magari per richieste particolari per ogni gara diversa. Famose le pedivelle accorciate ed il movimento centrale un po’ più alto per poter pedalare nei tornanti del Poggio in discesa. Merckx una volta sceso dalla bici diventò imprenditore, aprendo la propria fabbrica di biciclette, la Eddy Merckx, ma le persone che fisicamente dovevano realizzare i suoi telai le fece formare a Cusano Milanino. E lo stesso De Rosa andò poi svariate volte a supervisionare a Meise in Belgio.
Persona pacata, gentile, gran lavoratore, ma cosa distingueva Ugo De Rosa come creatore di telai? Cosa avevano le sue bici che le rendevano così apprezzate dai migliori corridori dell’epoca? Va tenuto conto dell’epoca in cui De Rosa ha iniziato a saldare telai, un’epoca in cui il materiale per farli era uno, e le opzioni erano due praticamente, a livello di tubazioni: i tubi e i tubi un po’ più spessi per i corridori più pesanti.
Dove concentrava le proprie attenzioni De Rosa? In primis sulle geometrie, grazie agli input dei corridori, che si gli chiedevano questo e quello, ma che lui sapeva anche poi distillare in cose concrete che funzionavano. In un’epoca in cui non c’erano studi, ingegneri, gallerie del vento, etc… E poi la forcella, da cui partiva tutto, e che De Rosa curava con grande attenzione, arrivando a fabbricarsi delle dime per provare curvature dei foderi diverse, personalizzandole al mm secondo ciclista ed esigenze.
Ed infine le congiunzioni, che erano standard per quasi tutti, comprate in Francia o Svizzera (la gran parte dei telaisti italiani usavano quest’ultime, mentre De Rosa le prime), ma che poi De Rosa faceva limare (a mano) per renderle il più sottili possibile, in modo da non dover scaldarle troppo in fase di saldatura, e con loro le tubazioni, preservandole nelle loro caratteristiche meccaniche.
Negli anni ’70 questo lavoro di limatura delle congiunzioni fu affidato ad un intraprendente giapponese che era sbarcato in Italia per imparare a fare le biciclette “come quelle di Merckx”: Yoshiaki Nagasawa, il quale dopo 3 anni di apprendistato da De Rosa tornò in patria e cominciò a fare bici da Keirin. Le sue bici vinsero poi 10 campionati del mondo con Koichi Nakano e Nagasawa diventò leggenda anche fuori dal Giappone, per la cura e l’attenzione nella costruzione delle sue bici. Il logo delle bici Nagasawa paga ancora oggi (anche se Nagasawa da tempo non sta bene e non è più attivo) tributo a quella filiazione:
Quando Nagasawa tornò in patria il suo posto di limatore di congiunzioni venne preso da uno dei figli di De Rosa, Doriano, diventato poi rinomato costruttore di bici in titanio (tra i primissimi in Italia) e acciaio.
L’importanza di Ugo De Rosa nell’evoluzione della bicicletta infatti non è solo una storia italiana. L’importanza del lavoro di Ugo, il suo modo di fare, di lavorare, è uno di quegli esempi che fortunatamente trascendono i confini nazionali, ammirato da campioni come Eddy Merckx e telaisti da tutto il mondo. Per questo abbiamo chiesto ad un telaista “della vecchia scuola” di fama mondiale, ma dall’altra parte del mondo, di darcene testimonianza:
La notizia della scomparsa di Ugo De Rosa è circolata diverse settimane fa e molti non hanno parole per descrivere i profondi sentimenti che proviamo. Il signor De Rosa è stato una figura iconica nella produzione di biciclette. Il suo marchio, insieme ai suoi tre figli e alla sua più grande famiglia, è stato un punto fermo per oltre mezzo secolo. Le etichette con il famoso logo del cuore continuano a essere applicate ai telai prodotti a Cusanino Milano, ma senza Ugo De Rosa la storia cambia per sempre.
Ugo De Rosa era uno degli uomini a cui gli atleti si rivolgevano per avere una bicicletta migliore. La sua esperienza personale come parte della piccola comunità di persone che componeva il peloton era evidente da quei nomi famosi che potevano essere visti pedalare verso la vittoria su una De Rosa. Conosceva segreti che altri non conoscevano? Il passare del tempo rivelerà qualche ingrediente della sua produzione che ha effettivamente migliorato le possibilità di vittoria? Le De Rosa avevano qualcosa di simile alle famose vernici attribuite ai rinomati liutai cremonesi?
Rimangono ancora delle domande sul perché Ugo fosse Ugo e sul perché la gente accorresse al suo atelier nella speranza di ottenere una bicicletta perfettamente realizzata. In parte potrebbe trattarsi della fortuna delle relazioni. Può essere attribuito al fatto di trovarsi nel posto giusto al momento giusto. Come costruttore di telai che ha ammirato ciò che Ugo De Rosa ha realizzato e rappresentato, cercare delle risposte non fa che confondere la sua storia. Ugo De Rosa ha semplicemente realizzato biciclette belle e ben progettate per tutta la sua vita adulta.
Oggi le biciclette sono in gran parte prodotte da macchine. O nelle macchine. Persone sedute a una scrivania creano file artistici che, a loro volta, vengono inviati alle fabbriche dove i progetti vengono clonati e offerti alle masse. Questo è ciò che è diventato il settore. E stranamente, le biciclette utilizzate a livello professionale provengono da case come queste. Sono finiti i tempi in cui gli uomini lavoravano ai banchi di lavoro utilizzando le conoscenze acquisite ascoltando i corridori e i meccanici delle squadre e distillando le conversazioni in un oggetto così bello e cinetico come il telaio della bicicletta fatto a mano. È soprattutto questo che si perde quando uomini come Ugo De Rosa vanno in cielo.
Sono triste per la sua scomparsa e sono in lutto per la sua famiglia. Ma sono immensamente grato di aver vissuto nel suo tempo e di averlo visto fare la sua magia. Il signor De Rosa era un’ispirazione.
Richard Sachs
Un ringraziamento a Doriano De Rosa, Gianni Motta, Richard Sachs e Andrea Mazzoleni
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