Nel programma “Summer of Sport 2024: Seconds we remember”, trasmesso sabato da DRTV, Jonas Vingegaard e sua moglie, Trine Marie Vingegaard Hansen, hanno rivelato per la prima volta con precisione le ferite riportate dal campione danese nella caduta al giro dei paesi baschi, e come hanno vissuto le ore, le settimane e i mesi successivi al terribile incidente, tre mesi prima del Tour de France di quest’estate.
Sette costole rotte, una frattura dello sterno, una clavicola rotta, un dito rotto ed entrambi i polmoni perforati. Questo era il tragico bollettino di Vingegaard quando è stato trasportato d’urgenza in ospedale. Ma durante il viaggio verso l’ospedale, Vingegaard ha temuto il peggio, come lui stesso ha raccontato:
“Non sono riuscito a respirare per i primi dieci secondi a terra. Già allora ho capito che c’era qualcosa che non andava”; “Quando finalmente sono riuscito a respirare di nuovo ho tossito sangue. È allora che mi sono reso conto che c’era qualcosa che definitivamente non andava”.
Prima della caduta Jonas Vingegaard era nel gruppo di testa, ma “ha una brutta sensazione allo stomaco. Qualcosa non quadra“, racconta. “C’era una tensione in gruppo che forse non doveva esserci. Non succede sempre che vada male, ma succede, e allora forse è il tuo cervello che cerca di proteggerti dall’incidente. Io non l’ho ascoltato”.
“La discesa era facile all’inizio. Forse è per questo che tutti spingevano al limite. Poi arriva la curva, non brusca, anzi apparentemente facile. Ma c’è stata una battaglia per la posizione e a causa della cattiva condizione della strada non riesco a frenare. E poi la bici mi scivola via perché ho semplicemente troppa velocità”, racconta Vingegaard.
Quindi la caduta, con una scivolata di diversi metri.
“È la prima volta che non ho cercato di risalire subito in bici. Ho tossito sangue, ma non poco, credevo di avere un’emorragia interna che mi avrebbe portato ad annegare nel mio stesso sangue o a morire per dissanguamento. Quindi, sì… A quel punto ho pensato che fosse finita”.
Ben presto è circondato dai compagni di squadra, dal direttore sportivo e dallo staff medico. Pochi istanti dopo, è in ambulanza a ricevere ossigeno, diretto all’ospedale più vicino.
Nelle immagini dell’elicottero si vede Jonas Vingegaard schiantarsi a terra e poi rimanere inquietantemente immobile, quasi in posizione fetale.
La moglie di Jonas, Trine, è davanti la tv: “Dico solo cazzo, cazzo, cazzo, cazzo, cazzo, cazzo, cazzo“.
Capisce subito che la situazione non è buona. Passa mezz’ora prima che il team di Vingegaard si faccia sentire. Sembra un tempo lunghissimo, ricorda. Quando la chiamano lei è già in viaggio verso l’aeroporto.
Il primo istinto di Trine è stato quello di contattare una compagnia aerea e prenotare i biglietti. Ora è il momento di pianificare, e deve farlo in fretta. Prende in prestito alcuni vestiti da un’amica, prende Frida per un braccio e parte. Quando il team raggiunge Trine le dicono che suo marito è cosciente ed è in buone mani, in viaggio verso l’ospedale.
“Sono contenta che sia vivo e spero che non abbia danni cerebrali. Possiamo sopportare qualsiasi altra cosa”, ricorda di aver pensato lei dopo la telefonata.
A mezzanotte dello stesso giorno, Trine e la figlia Frida arrivano all’ospedale locale nella regione spagnola. Si recano al reparto di terapia intensiva per vedere Jonas per la prima volta dopo l’incidente.
Jonas piange molto. Gli dispiace esporre la sua famiglia a ciò che gli è successo, ed anche a ciò che sarebbe potuto accadere nel peggiore dei casi. Deve pensare a Frida, Trine e al loro figlio non ancora nato.
“Trine era incinta. Per me era difficile da sopportare”, ricorda Jonas Vingegaard. “Soprattutto il pensiero che avresti dovuto vivere senza di me”, dice rivolgendosi alla moglie.
I medici tengono Jonas Vingegaard in ospedale per dodici giorni. I primi otto giorni in terapia intensiva.
Oltre alle numerose ossa rotte, ha una piccola perforazione al polmone sinistro e il polmone destro è quasi completamente collassato. A causa di un’emorragia interna, gli viene applicato un drenaggio nel polmone per circa una settimana. Mentre il personale dell’ospedale si occupa delle ferite Jonas ha tutto il tempo di pensare a quanto è disposto a sacrificare per la sua carriera.
“Quando ero a terra ho pensato che se fossi sopravvissuto a questo avrei rinunciato alla mia carriera. Ma poi ne abbiamo parlato molto ed entrambi abbiamo pensato che avrei dovuto continuare, perché è ancora la mia passione”, dice Vingegaard.
Anche se vuole continuare la sua carriera ciclistica la strada dal suo letto d’ospedale in Spagna al Tour de France è molto lunga:
“Quando si è in terapia intensiva non si pensa nemmeno al Tour de France. Non si può nemmeno andare in bagno. È stata pura sopravvivenza”, dice Trine.
Mancano tre mesi al via della corsa ciclistica più importante del mondo: “Per il primo, lungo, periodo penso che non sia un’opzione andare al Tour”, dice.
Durante la convalescenza in ospedale a Vingegaard viene assegnato a un fisioterapista per far muovere il suo corpo. A casa si siede e pedala tranquillamente su una cyclette da divano.
Trine scatta una foto e la invia al team. I due coniugi scherzano sul fatto che ora che è in piedi e in movimento va tutto bene.
Il 16 aprile viene dimesso dall’ospedale spagnolo.
Il 29 giugno Vingegaard era sulla linea di partenza del Tour de France.
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