Vi siete mai chiesti quali differenze dal punto di vista prestazionale ci siano tra una bici attuale ed una vintage? No? Ok, fermatevi qui e fate 2h di rulli. In caso affermativo invece continuate pure a leggere, tenendo ben presente però che qui non si intende stabilire cosa sia “meglio” o “peggio” tra vecchio e nuovo, carbonio o acciaio e tutti i soliti temi che non fanno che alzare la pressione a qualche invasato, ma solo soddisfare qualche curiosità. Oltre al divertimento del fare il test in sé (per me).
Veniamo quindi alle cavie. La bici vintage utilizzata è la mia Colnago Super montata Campagnolo Nuovo Record del 1972 (6V). Le ruote sono delle classiche assemblate con mozzi Campagnolo e cerchi sempre Campy, ma modello Omicron. Questi cerchi sono più recenti (anni ’80-’90), ma sono serviti per poter montare gli stessi copertoncini della bici attuale, cosa più difficile con ruote per tubolari. La bici è stata riverniciata non molto tempo fa, ma questa bella signora ha comunque più di 40 anni ben portati.
Il telaio è un 61cc “quadro”. La bici completa senza pedali fa segnare ben 9,95kg.
La bici moderna del confronto è la Cervélo R3 che uso abitualmente, in particolare se c’è da fare salita. Come la Colnago, anche questa è montata tutta Campagnolo, con un non più recentissimo Super Record 11V del 2013 e ruote Fulcrum Racing Zero Carbon. Taglia 58 per un peso, senza pedali, di 6,5kg netti.
Terreno di confronto è una salita “sotto casa”, che ho percorso centinaia di volte anche in discesa. E’ una salita che si presta bene allo scopo visto che ha una lunghezza ridotta, ma non troppo (6km) ed una pendenza media del 7% con solo qualche punta qua e là sul 10-11% e 50mt in cui spiana al 4%.
In discesa non è velocissima (tra i 45 ed i 48kmh di media normalmente), ma abbastanza “guidata” con alcuni tornanti e qualche curvone lungo. Per ora in discesa ne possiedo il KOM (Strava recita: 1.746 tentativi di 586 persone, quindi non il Giau, ma nemmeno un cavalcavia sconosciuto), quindi una discesa che conosco molto bene.
Le biciclette, per uniformarle il più possibile in questa condizione, sono state montate entrambe con copertoncini Mavic Yksion da 23mm, gonfiati alla stessa pressione con la stessa pompa. Si sarebbe potuto utilizzare i copertoncini Michelin Hi-Lite da 20mm vintage che vedete in foto per rendere meglio il confronto tra vintage e no, ma siccome la pelle è la mia ho preferito non saggiare come andassero in discesa dei copertoncini di 30 anni fa.
Su entrambe le bici sono stati montati i pedali Powertap P1, misuratori di potenza. Per la registrazione dei dati un Garmin 520.
Un problema si è posto sui rapporti. La vintage monta ovviamente il suo bel 53-39 davanti e 11-23 dietro. Mentre la bici moderna 50-34 e 11-28 dietro. Ho svolto quindi tre salite: una con il 39-23 della vintage, una con la Cervélo col 34×20 (stesso sviluppo metrico circa del 39×23) ed una salita con la Cervélo con libertà di cambiata. Ovviamente la libertà di cambiata c’era anche con la vintage, ma non sono Indurain e mai mi è venuta voglia di scalare al 21 o meno…
Tutte le tre salite sono state portate (quasi) a termine con 260W medi. Una potenza, per me sostenibile senza uccidersi, e quindi “controllabile” e gestibile col Garmin. In realtà poi coi rapporti più duri si è rivelata al limite per la cadenza che è rimasta tra le 45 e 50rpm con i rapporti vintage.
Ecco i risultati delle tre manches in salita (la differenza di 100mt che si vede, in realtà, visualizzandola su GoldenCheetah, è di 10-15mt, quindi nel margine di precisione del GPS. Facevo partire il Lap su due riferimenti a terra).
Bici moderna rapporti liberi, ma gambe stanche
Ed ecco le tre manches in discesa.
La cosa più evidente a tutti i criticoni è che alla terza salita non sono riuscito ad arrivare ai 260W target, ma dopo le due sessioni di SFR precedenti da quasi 30′ l’una avevo le gambe di marmo…
Per il resto l’influenza ponderale è evidente. 3kg e 400gr hanno il loro peso (…) sulla prestazione. Questo combinato con i rapporti, che, perlomeno a me, impongono un modo di pedalare differente, in cui i pezzi un po’ più ripidi, in particolare fuori dai tornanti, vanno affrontati pedalando in fuorisella per darsi un po’ di slancio, mentre con la rapportatura moderna è più agevole andare costanti mantenendo inalterata la cadenza restano seduti (mi alzo molto raramente sui pedali). In questa circostanza anche il peso del telaio diventa influente, dato che il baricentro non si muove più “linearmente”, ma oscilla in modo sinusoidale attorno alla retta direttrice. In questa condizione il maggior peso del telaio richiede maggior lavoro rispetto quello per la bici moderna che pesa (telaio e forcella) meno della metà. Proprio pedalando in piedi sui pedali in salita si nota la maggior “reattività”, per la quale sembra di accelerare più velocemente (ed in realtà dovrebbe essere così).
In discesa la maggiore inerzia si traduce in una sensazione di maggior sicurezza, per cui su ogni buca o deformità dell’asfalto la bici vintage si scompone meno, attutendo maggiormente i colpi. La bici moderna invece “scalcia” di più ed in generale da una sensazione di avere minor “sostanza” sotto il sedere. Questo non fa alcuna differenza al fine prestazionale però, basta abituarsi alle diverse sensazioni.
Anche i freni, pur avendo i vintage una frenata più dura da azionare e meno aggressiva se tirati forte, non pongono problemi particolari. I tempi di discesa, sempre a parità di watt (cercavo di dare solo 3 pedalate ad ogni uscita di tornante), sono praticamente identici. Questo facendo delle discese “normali” e non col coltello tra i denti. Probabilmente in queste situazioni il setup moderno consente di osare maggiormente e staccare più al limite, ma probabilmente senza differenze abissali col pur datato setup vintage.
Abbastanza inutili i paragoni al passo, a velocità costante, dove le differenze sono nulle, a meno di coinvolgere aspetti aerodinamici, che però per test “caserecci” sono impossibili da valutare correttamente, a meno di differenze macroscopiche.
Le differenze prestazionali tra le due bici ci sono e sono evidenti. Quanto evidenti? Per molti quei 2′ su 6km di differenza in salita hanno un significato pressoché nullo, per altri possono significare molto. Quello che bisogna ricordare è che, cronoscalatori a parte, la maggior parte della gente non esce per fare una salita secca e basta, quindi bisogna pensare a quanto quella differenza si possa amplificare su percorsi più lunghi e composti da più salite. Il peso non é tutto, e contano anche i rapporti. Chi ha buona memoria e frequentava forum e newsgroup ormai più di dieci anni fa ricorderà che erano frequenti le domande se fosse fattibile la tale o talaltra salita con certi rapporti. Ora queste domande sono molto meno presenti e c’è da scommetterci che dipenda non tanto dai garretti potenziati degli amatori moderni, ma dai rapporti e l’introduzione di guarniture compact e pure, novità, microcompact (48-30) combinate con pacchi pignoni con 28, 30 e 32 che consentono di affrontare senza patemi qualunque salita o quasi. E soprattutto più salite in successione senza sfinirsi.
In discesa le differenze non sono mostruose, anche se freni moderni hanno un feeling decisamente migliore oltre che una bella potenza, per non parlare dell’ergonomia.
C’è da dire che, al contrario di quello che si pensa, le bici in acciaio di una volta, perlopiù in taglie grandi come quella del test, non erano esenti dall’effetto shimmy, cosa molto molto rara con le bici attuali. Questo perché, anche sul famigerato “su-misura”, l’unica cosa che spesso si poteva customizzare era la lunghezza dei tubi, che però alla fine portavano ad avere telai non troppo rigidi torsionalmente e proni ad innescare shimmy. Ad ogni modo, non è il caso di questa Colnago. Che mai al mondo penserei di usare per farci una Ötztaler & c., ma per fare qualche bel giro in piano anche lungo va più che bene, con anche un certo stile, che non guasta (a chi piace).
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