Cosa rappresenta il massimo volume di ossigeno (VO2max)?

Canonicamente quantifica quanto ossigeno l’organismo è in grado di gestire durante uno sforzo massimale aerobico. Ipotizziamo uno sforzo massimale di 5 minuti o una rampa incrementale di carico (test) fino ad esaurimento: si raggiungerà un punto in cui i polmoni non riescono più ad assorbire efficacemente ossigeno, l’emoglobina contenuta nei globuli rossi è saturata dalle molecole di ossigeno, la pompa muscolare cuore irrora sangue ricco di ossigeno e la muscolatura periferica lo assorbe e lo utilizza per produrre adenosina trifosfato (ATP) utilizzando come substrato acidi grassi o glicogeno. Ovviamente a basse intensità l’organismo utilizza una miscela di grassi e zuccheri (riferimento grafico, LINK) in cui la presenza dei secondi è funzione dell’intensità, ossia all’aumentare della potenza richiesta, in ambito aerobico, aumenta l’utilizzo degli zuccheri. Tanto che ad intensità massimali l’organismo utilizza quasi esclusivamente zuccheri per produrre l’ATP necessaria. Ad un certo punto non è più possibile processare ed assorbire ossigeno e la potenza necessaria verrà prodotta dal metabolismo anaerobico in cui l’organismo utilizza in maniera incompleta substrati energetici in assenza di ossigeno. Anche se il nostro organismo è sempre coinvolto e attivo su bassi livelli di metabolismo anerobico, questo sistema diviene una rilevante fonte energetica solamente per sforzi brevi e particolarmente intensi come uno sprint o un movimento particolarmente veloce e di breve durata.

Eccetto che un atleta sia relativamente poco allenato alla resistenza, il VO2max non rappresenta in maniera limitata solo una quantificazione di quanto ossigeno i polmoni riescono ad assorbire o quanto sangue la pompa muscolare cuore riesce ad irrorare. Perché questa precisazione? Essenzialmente perché un principiante ha una notevole possibilità e capacità iniziale di migliorare propria efficienza e volume cardiaco. In parte, ed in misura minore, anche i polmoni possono raggiungere un livello di adattamento ed efficienza superiore. Questi adattamenti sono spesso già consolidati in un atleta che è allenato alla resistenza/endurance per più stagioni e/o già da età giovanili.

Nello specifico quindi con VO2max è più corretto identificare la capacità del metabolismo massimale aerobico a livello cellulare poiché i mitocondri sono gli organuli deputati all’assorbimento e utilizzo dell’ossigeno. Qual è quindi la limitazione su questo fattore se un atleta mediamente esperto ed allenato riesce a raggiungere una saturazione di ossigeno ematica e polmonare, per esempio, anche superando valori di VO2max nella frequenza cardiaca? Il fattore limitante a livello fisiologico è rappresentato dalla densità e l’adattamento dei sopra citati mitocondri e quindi a livello cellulare la presenza di enzimi respiratori e, di riflesso, tali concentrazioni di enzimi per fibra muscolare.

Da un certo punto di vista questo è un elemento positivo poiché questo fattore “limite” è maggiormente allenabile rispetto a quanto si tende a credere. Circoscrivere gli adattamenti cardio respiratori centrali, volumi ed efficienza, come i principali fattori di adattamento limita le potenzialità di miglioramento reale. Infatti la maggior parte delle limitazioni aerobiche (ma anche anaerobiche) hanno origine periferica/cellulare, nello specifico il volume e distribuzione delle fibre lente e veloci (fattore genetico) e il loro adattamento/plasticità (mediante allenamento).

Ne risulta che l’adattamento e il miglioramento del VO2max è tendenzialmente più allenabile di quanto si creda. Ovviamente ogni soggetto ed atleta risponde in modo differente a diversi stimoli allenanti, se adeguati, ma il VO2max è un valore che comunque ha una variabilità sia intra che inter soggetti. Alcuni atleti raggiungono il proprio potenziale in pochi anni per poi ottenere altri miglioramenti in altri ambiti (es. ripetibilità sforzo, metabolismo anaerobico, tempo di permanenza su percentuali di VO2max inferiori al massimale, ecc ecc…), mentre alcuni soggetti raggiungono il proprio potenziale con estrema gradualità raggiungendo valori inaspettati rispetto ai primi anni di attività aerobica. Indifferentemente da tutto ciò, l’obiettivo deve e dovrebbe essere sempre e comunque quello di raggiungere e portare al massimo livello tale parametro considerando quanto sopra indicato, ossia che spesso vi sono margini di miglioramento superiori rispetto a quanto si è portati a pensare.

Quindi, come posso migliorare il mio VO2max?

La risposta più breve e perentoria è…allenandoti ad intensità tali da richiedere al tuo organismo di utilizzare la massima quantità di ossigeno in grado di assimilare ed assorbire. L’esercizio spesso più efficace è rappresentato da ripetizioni su intervalli in Zona5 (vedi riferimenti, LINK) di 3-8 minuti con moderata (rapporto 1:1) o elevata (rapporto > 1:1) densità nei recuperi. Vi sono valori aggiunti in questa tipologia di esercizio: un elevato livello di reclutamento muscolare in ambito aerobico (importante adattamento periferico, vedi riferimento distribuzione fibre muscolari), un carico quasi massimale cardiaco, uno stimolo muscolare cellulare nell’adattarsi ad utilizzare la massima quantità di substrati energetici (in questo caso essenzialmente glicogeno) permessa dalla propria densità mitocondriale. Inoltre, come da recenti ed interessanti teorie e ricerche sul Central Governor (LINK) vi è anche un adattamento “superiore” a livello di sistema nervoso centrale di adattamento alla fatica ed in particolare a queste intensità. Se il cervello impara a riconoscere e gestire queste intensità non le percepirà come segnali di allarme evitando di innescare un effetto limitatore legato alla disabitudine allo sforzo, in particolare a queste potenze e performance. Questo adattamento è altrettanto importante rispetto a quelli centrali (sistema cardio respiratorio) e periferici muscolari in quanto anche l’abitudine e la gestione di questi carichi è funzionale ad un incremento generale e non solamente settoriale del proprio incremento delle prestazioni. Il solo adattamento settoriale (esempio muscolare) non è infatti sufficiente e spesso è la principale causa nella lentezza o inefficienza di adattamento derivante da alcune tipologie di allenamento. E’ infatti sempre presente una dinamica interazione tra periferia, sistemi centrali e sistema neuromuscolare e tutto ciò non può essere omesso in un’attività neuromuscolare aerobica come il ciclismo (escluse specifiche specialità) con netta prevalenza condizionale rispetto alla tecnica.

Il nostro cervello agisce automaticamente e autonomamente (e quindi spesso senza il nostro diretto controllo volontario) sulla gestione del reclutamento muscolare, sulla frequenza e forza di attivazione muscolare, sul controllo della termoregolazione e dispersione del calore corporeo, sul controllo della frequenza cardiaca, sul controllo di parametri biochimici quali concentrazioni di ossigeno, anidride carbonica, lattato ematico, ecc ecc… Tutti fattori ed elementi che fanno parte integrante e vengono riassunti a livello conscio della percezione dello sforzo e, volenti o nolenti, questo influisce direttamente sulla nostra capacità di lavoro e sostenibilità di intensità massimali e sub-massimali. Questa ovviamente è un’area di ricerca e approfondimento che sta diventando cruciale anche in ambito fisiologico, dove fino ad ora si erano applicati concetti e considerazioni dividendo, quasi come se fossero compartimenti stagni, adattamenti e sistemi periferici (muscoli, sistema cardio respiratorio) e sistema nervoso centrale.

Di positive c’è il fatto che già lavorando ad intensità massimali l’adattamento è biunivoco: indifferentemente da quale di questi sistemi (muscolare, neuromuscolare, cardio respiratorio e nervoso centrale) è il più debole nella catena in quel dato momento o periodo, l’adattamento sarà comunque funzionale ad un miglioramento globale innescando uno stimolo superiore sul sistema più carente. Non vi è quindi una metodologia perfetta, a prescindere, ma un percorso ideale di miglioramento partendo dalla presa di coscienza dei propri limiti iniziali.

Riguardo alle esercitazioni specifiche, indipendentemente da quello che viene indentificato come il proprio fattore limitante, ripetute 5×5’ con recupero uguale o inferiore ai 5’, 3×8’ con 4-5’ di recupero, o 30-40’ in Z4 con brevi allunghi (45-60’’) ogni tot minuti saranno tutti validi mezzi e lavori per migliorare in maniera globale le proprie capacità aerobiche massimali.

Quali esercizi tra questi è il migliore?

Tutti questi sono ottimi esercizi e nessuno è superiore agli altri, nessuno di essi esclude gli altri e loro piccole variazioni.

Alcuni esempi e applicazioni:

5×3’, 5’ recupero: esercizio corto e concentrato con prevalenza di intensità Vo2maz, adattamento neuromuscolare e, considerando la brevità dei 3’ anche una componente anaerobica; infatti, nei primi 60-90’’ l’apporto è anaerobico/aerobico misto per poi divenire aerobico massimale dopo tale lasso di tempo. Le prime fasi dopo il recupero permettono un buon accenno anche sulle capacità neuromuscolari andando dapprima ad un reclutamento sulle fibre veloci di tipo II per poi gradualmente andare ad utilizzare fibre lente di tipo I.

3-5×5’, 3-5’ di recupero: altro esercizio concentrato ed efficace: rispetto al precedente è minore il carico a livello neuromuscolare. I 5’ sono la classica durata per gli intervalli in Z5 infatti si presuppone che la permanenza reale su questa intensità per 3×5’ sia sui 12-13’.

3-5×5’, >10’ recupero: esercizio meno denso e concentrato ma ancora finalizzato ad uno stimolo massimale aerobico. L’obiettivo di questa minore densità è, a differenza degli esempi precedenti, quello di raggiungere costantemente valori massimali in tutti gli intervalli puntando su un pieno e totale recupero. In quest’ottica questo carico allenante ha un’ottica più orientata a simulare le richieste di una gara che le necessità di fitness e stimolo globale anche puntando su una distribuzione più estesa del lavoro specifico su VO2max.

Dott. Massa Roberto

VO2max Trainability and High Intensity Interval Training in Humans: A Meta-Analysis

 

Bibliografia e letture di riferimento

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