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<blockquote data-quote="Bert5quant1" data-source="post: 7599521" data-attributes="member: 121134"><p>........ seconda parte</p><p></p><p></p><p>I pastori non facevano mica quella vita per sport, eh! Chi si trovava addosso questo lavoro, tra le pietre in alta montagna e in un'altissima solitudine, ereditava solo il gene istintivo della sopravvivenza. Anche le briciole andavano risparmiate.</p><p></p><p>Anche lui, dopo un'ora abbondante, accettò che me ne andassi. "Eh, adess at'rivi a ca' con la lüna". Annuii... In qualche modo mi arrangerò, pensai.</p><p>Arrivai all'auto in una notte benigna con un residuo chiarore che mi lasciava capire dove mettere i piedi e subito dentro di me decisi di tornare, prima o poi.</p><p></p><p>Fu due anni dopo, nel 1985 passai di là con macchina fotografica e diapositive, lo trovai ancora e mi riconobbe, con un perentorio "Ah, t'at fermi chi parluma 'n po". Due anni come fosse ieri.</p><p>Ormai sapevo quanto era prezioso regalare un po' di me alla solitudine, e mi fermai un'ora e mezza. Ricordo poco, del più e del meno che ci si disse, lasciavo che fosse lui a comporre i suoi pensieri, un puzzle che avanzava a fatica, con le tessere che spesso cambiavano posto, ma per lui funzionava così, ed io gli regalavo la compagnia, anche se avevo poco da dirgli.</p><p>Lavoravo da impiegato, allora ero uno che usava la penna, la sua sintesi fu tutta lì. Non sapeva bene quali lavori facessero coloro che sapevano usare la penna. Il concetto poteva immaginarlo ma solo confusamente, era un mondo quasi alieno, inattingibile. Che liquidava con quelle parole.</p><p>Ripassai nell'87 con due stampe delle foto ma già a metà settembre, trovai tutto deserto.</p><p>Passai altre volte negli anni seguenti, ma fuori dal suo tempo o forse nei momenti in cui era in giro su alture vicine, ricordo che mi disse che spesso andava sull'Altorre, una cima arrotondata a quasi 2400m, quella che si vede al centro della sua foto, e rimaneva lì anche la notte, in agosto, con le bestie intorno. Bastava una coperta e si stava bene.</p><p></p><p>Nel 2005 in val Gronda, all'alpe Salei, un altro incontro e un'altra futura storia, un cugino del Ricu, che mi dice che lui è ancora vivo ed abita sempre a Tavigliano...</p><p>Intanto il lavoro e il poco tempo libero mi fanno riaffondare nell'oblìo dei propositi inattuati... finché torno al Pianprato in agosto 2008 e trovo un nipote. Vedo che hanno riparato una baita e costruito un mini abitacolo, in giro pecore e mucche. Mi dice dove abita il 'Ricu', ormai vecchio e poco abile, ... mi sorprendo a pensare che ho quasi paura di affrontare in un colpo tutti quegli anni, lo schiaffo della diversità che l'invecchiare ti sbatte in faccia.</p><p>Il tempo è più forte di un giudice e dei governi, è più secco delle prediche della domenica. E' una legge inesorabile, che viene sempre applicata, definitiva.</p><p>Consumo altri due anni, finché ogni cosa riaffiora in me con la forza perentoria che rende inevitabile fare qualcosa. E' giugno 2010, vado a Tavigliano e chiedo a varie persone, trovo il parroco per la strada, lo chiamo, ascolta il mio racconto con evidente e crescente allegria, soddisfatto della mia iniziativa, e mi orienta. Arrivo ad una casa già verso i prati, mi presento a una coppia sui 50, sono un figlio del Ricu con la moglie, spiego quel lontano passato e tiro fuori le foto...</p><p>"sì, è lui, è qui, adesso lo chiamo" ... e arriva un vecchietto di 81 anni, è il Federico! Riconosco i tratti del viso, pur cambiati.</p><p>È un allegro vecchietto a cui i figli controllano dieta e gesti, ma sta bene.</p><p>Parla del Pianprato, non ricorda più quei miei passaggi lontani ma in un attimo sfodera i nomi dei cani della foto, come li avesse ancora lì. E' lucido ma poco abile, è un po' ridiventato bambino, secondo un destino che spesso si ripete. Rimase al Pianprato fino al '93 poi andò in pensione, con qualche indugio di troppo in osteria. Bere tanto e mangiar poco fa male.</p><p>"Bisogna tenerlo d'occhio" dice la nuora, ed io "Ma come, ti fai comandare?" e lui ride di gusto, le battute più semplici sono quelle giuste, e solo quelle vanno bene.</p><p>Gli parlo dei pastori conosciuti dopo, i suoi cugini Lorenzo e Giuliano, il Festa Remo, il Canova, ... sì, li conosce tutti, io dico solo "Canova" e lui aggiunge "il Giovanni". "Giusto", faccio io. Mi parla di un altro cugino, su all'Alpe Mologna, al lago Riazzale, gli dico che sono posti che ben conosco, e gli prometto di fare il giro dei suoi vecchi posti, per fare le foto e portargliele nell'autunno.</p><p>Mi stringe la mano a lungo, come fossimo ancora al Pianprato nell'85, quando sapeva che dovevo andare a casa perché veniva notte, ma allo stesso tempo voleva fermarmi ancora. "Anco' an minut!" Minuti come le ciliegie. Minuti che a quell'età valgono ore.</p><p>Lo vedo tra gente buona e paziente, percepisco che sta bene, così sto bene anch'io. Saluto e ripeto la promessa.</p><p>A fine settembre faccio il gran giro e foto dalla Gronda al lago Seia, traverso al Pianprato e ritorno a Rassa, il 6 novembre ritorno a Tavigliano.</p><p></p><p>Il figlio sta lavorando in cortile e ... "I suma staralu al dui nuvember !"</p><p>I prati colorati dal sole mi si offuscano in una nebbia di bianco e nero, un rivolo di ghiaccio mi traversa il cuore. Una vita in meno da incontrare, una lapide in più.</p><p>Una vita che si riduce ad un racconto. Anzi, ad un sacro ricordo.</p><p>Sono andato al cimitero, c'era una foto provvisoria, l'unico modo di rivederlo. Altrimenti i miei ricordi.</p><p>Il ricordo resta ma è un prodotto del pensiero, e se non sei famoso, resta per qualche anno in poche persone, viene a galla sempre più di rado, poi muore con quei pochi, e per sempre.</p><p>Il ricordo è una candela, diventerà un moccolo e alla fine, l'ultima fiammella.</p><p>Per questo annoto questi ricordi, perché possano toccare la sensibilità di qualcun altro, perché possano contagiare, perché almeno uno, se ne avrà l'occasione, deponga per un'ora le sue frette, senza guardare l'orologio, e si renda amichevole e disponibile a un pastore che, magari con le idee un po' confuse o un linguaggio un po' approssimativo, ti ferma sui sassi di una baita a casa del diavolo.</p><p></p><p>La mia ormai è forse la visione di un tempo e modi di essere che non esistono più, ne son passati di anni ed è cambiata anche la gente che porta le bestie in montagna. Quelli che incontri adesso, anche a quella casa del diavolo, hanno il satellitare e dialettiche ben più evolute. Però ti parlano volentieri. Un po' la storia vale ancora, se sai fermarti ed offrire un attimo di te e di nulla.</p><p></p><p>Consegno questo mio ricordo ad una sua vita, mi illudo? Forse, ma credo che seminarlo 'in giro' sia come sostituire il moccolo che sta per finire con una candela nuova che duri un'altra vita.</p><p></p><p>Ennio Bertona</p></blockquote><p></p>
[QUOTE="Bert5quant1, post: 7599521, member: 121134"] ........ seconda parte I pastori non facevano mica quella vita per sport, eh! Chi si trovava addosso questo lavoro, tra le pietre in alta montagna e in un'altissima solitudine, ereditava solo il gene istintivo della sopravvivenza. Anche le briciole andavano risparmiate. Anche lui, dopo un'ora abbondante, accettò che me ne andassi. "Eh, adess at'rivi a ca' con la lüna". Annuii... In qualche modo mi arrangerò, pensai. Arrivai all'auto in una notte benigna con un residuo chiarore che mi lasciava capire dove mettere i piedi e subito dentro di me decisi di tornare, prima o poi. Fu due anni dopo, nel 1985 passai di là con macchina fotografica e diapositive, lo trovai ancora e mi riconobbe, con un perentorio "Ah, t'at fermi chi parluma 'n po". Due anni come fosse ieri. Ormai sapevo quanto era prezioso regalare un po' di me alla solitudine, e mi fermai un'ora e mezza. Ricordo poco, del più e del meno che ci si disse, lasciavo che fosse lui a comporre i suoi pensieri, un puzzle che avanzava a fatica, con le tessere che spesso cambiavano posto, ma per lui funzionava così, ed io gli regalavo la compagnia, anche se avevo poco da dirgli. Lavoravo da impiegato, allora ero uno che usava la penna, la sua sintesi fu tutta lì. Non sapeva bene quali lavori facessero coloro che sapevano usare la penna. Il concetto poteva immaginarlo ma solo confusamente, era un mondo quasi alieno, inattingibile. Che liquidava con quelle parole. Ripassai nell'87 con due stampe delle foto ma già a metà settembre, trovai tutto deserto. Passai altre volte negli anni seguenti, ma fuori dal suo tempo o forse nei momenti in cui era in giro su alture vicine, ricordo che mi disse che spesso andava sull'Altorre, una cima arrotondata a quasi 2400m, quella che si vede al centro della sua foto, e rimaneva lì anche la notte, in agosto, con le bestie intorno. Bastava una coperta e si stava bene. Nel 2005 in val Gronda, all'alpe Salei, un altro incontro e un'altra futura storia, un cugino del Ricu, che mi dice che lui è ancora vivo ed abita sempre a Tavigliano... Intanto il lavoro e il poco tempo libero mi fanno riaffondare nell'oblìo dei propositi inattuati... finché torno al Pianprato in agosto 2008 e trovo un nipote. Vedo che hanno riparato una baita e costruito un mini abitacolo, in giro pecore e mucche. Mi dice dove abita il 'Ricu', ormai vecchio e poco abile, ... mi sorprendo a pensare che ho quasi paura di affrontare in un colpo tutti quegli anni, lo schiaffo della diversità che l'invecchiare ti sbatte in faccia. Il tempo è più forte di un giudice e dei governi, è più secco delle prediche della domenica. E' una legge inesorabile, che viene sempre applicata, definitiva. Consumo altri due anni, finché ogni cosa riaffiora in me con la forza perentoria che rende inevitabile fare qualcosa. E' giugno 2010, vado a Tavigliano e chiedo a varie persone, trovo il parroco per la strada, lo chiamo, ascolta il mio racconto con evidente e crescente allegria, soddisfatto della mia iniziativa, e mi orienta. Arrivo ad una casa già verso i prati, mi presento a una coppia sui 50, sono un figlio del Ricu con la moglie, spiego quel lontano passato e tiro fuori le foto... "sì, è lui, è qui, adesso lo chiamo" ... e arriva un vecchietto di 81 anni, è il Federico! Riconosco i tratti del viso, pur cambiati. È un allegro vecchietto a cui i figli controllano dieta e gesti, ma sta bene. Parla del Pianprato, non ricorda più quei miei passaggi lontani ma in un attimo sfodera i nomi dei cani della foto, come li avesse ancora lì. E' lucido ma poco abile, è un po' ridiventato bambino, secondo un destino che spesso si ripete. Rimase al Pianprato fino al '93 poi andò in pensione, con qualche indugio di troppo in osteria. Bere tanto e mangiar poco fa male. "Bisogna tenerlo d'occhio" dice la nuora, ed io "Ma come, ti fai comandare?" e lui ride di gusto, le battute più semplici sono quelle giuste, e solo quelle vanno bene. Gli parlo dei pastori conosciuti dopo, i suoi cugini Lorenzo e Giuliano, il Festa Remo, il Canova, ... sì, li conosce tutti, io dico solo "Canova" e lui aggiunge "il Giovanni". "Giusto", faccio io. Mi parla di un altro cugino, su all'Alpe Mologna, al lago Riazzale, gli dico che sono posti che ben conosco, e gli prometto di fare il giro dei suoi vecchi posti, per fare le foto e portargliele nell'autunno. Mi stringe la mano a lungo, come fossimo ancora al Pianprato nell'85, quando sapeva che dovevo andare a casa perché veniva notte, ma allo stesso tempo voleva fermarmi ancora. "Anco' an minut!" Minuti come le ciliegie. Minuti che a quell'età valgono ore. Lo vedo tra gente buona e paziente, percepisco che sta bene, così sto bene anch'io. Saluto e ripeto la promessa. A fine settembre faccio il gran giro e foto dalla Gronda al lago Seia, traverso al Pianprato e ritorno a Rassa, il 6 novembre ritorno a Tavigliano. Il figlio sta lavorando in cortile e ... "I suma staralu al dui nuvember !" I prati colorati dal sole mi si offuscano in una nebbia di bianco e nero, un rivolo di ghiaccio mi traversa il cuore. Una vita in meno da incontrare, una lapide in più. Una vita che si riduce ad un racconto. Anzi, ad un sacro ricordo. Sono andato al cimitero, c'era una foto provvisoria, l'unico modo di rivederlo. Altrimenti i miei ricordi. Il ricordo resta ma è un prodotto del pensiero, e se non sei famoso, resta per qualche anno in poche persone, viene a galla sempre più di rado, poi muore con quei pochi, e per sempre. Il ricordo è una candela, diventerà un moccolo e alla fine, l'ultima fiammella. Per questo annoto questi ricordi, perché possano toccare la sensibilità di qualcun altro, perché possano contagiare, perché almeno uno, se ne avrà l'occasione, deponga per un'ora le sue frette, senza guardare l'orologio, e si renda amichevole e disponibile a un pastore che, magari con le idee un po' confuse o un linguaggio un po' approssimativo, ti ferma sui sassi di una baita a casa del diavolo. La mia ormai è forse la visione di un tempo e modi di essere che non esistono più, ne son passati di anni ed è cambiata anche la gente che porta le bestie in montagna. Quelli che incontri adesso, anche a quella casa del diavolo, hanno il satellitare e dialettiche ben più evolute. Però ti parlano volentieri. Un po' la storia vale ancora, se sai fermarti ed offrire un attimo di te e di nulla. Consegno questo mio ricordo ad una sua vita, mi illudo? Forse, ma credo che seminarlo 'in giro' sia come sostituire il moccolo che sta per finire con una candela nuova che duri un'altra vita. Ennio Bertona [/QUOTE]
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