Oltre 12.000 metri di dislivello per 467 km. Una follia! Una sfida con se stessi, una ricerca del limite. Mi incuriosisce e intimorisce. Come reagiranno le mie gambette a dieci salite alpine consecutive? La curiosità ha il sopravvento. Preparo l'auto/camper e raggiungo Bormio venerdì sera. Ho una bella sorpresa. Il camper è inutile. Hanno allestito un dormitorio gratuito in una tensostruttura montata a lato del campo di calcio. Le auto si parcheggiano sulla adiacente pista di atletica. L'organizzazione è perfetta e molto generosa. Offrono pacco gara (con maglia della Santini, borraccia, camera d'aria, integratori) unito a cibo e bevande a volontà per tutta la durata della rando. Il ristoro di Bormio è rimasto aperto ininterrottamente per oltre 40 ore. Penne e tagliatelle a volontà con otto condimenti a scelta, speak, bresaola, formaggio, marmellata, spremuta, tè, caffè, integratori, banane, aranci, nutella, panini. Tutto senza limitazione. Mai vista una cosa del genere. Il venerdì notte arriva la pioggia e il telone del dormitorio amplica il rumore dell'acqua battente. Sembra stia diluviando ma è solo un temporale passeggero che non lascia tracce. Il meteo è amico della rando e le nuvole di sabato si limitano a proteggere i ciclisti dai raggi di sole. Partiamo alle cinque del mattino dopo una ipercolazione. Il primo dei quattro anelli che compongono il Valtellina Extreme comprende l'ascesa di Mortirolo e Gavia. Il Mortirolo da Mazzo è una mazzata, almeno per me. L'ho fatto due volte nella Pantani, non mi è piaciuto e non l'ho apprezzato. Paesaggisticamente dice poco e ha pendenze medie troppo dure. Per fortuna lo facciamo come prima salita. La bici carica con la borsa posteriore pesa 10,8 kg. Porto l'abbigliamento per il freddo e la pioggia. La discesa del Gavia da 2600 metri va affontata con rispetto...
Sulle prime rampe del Mortirolo le gambette girano bene. Lo faccio al mio passo, usando a volte il 34x30 che ho montato nei giorni scorsi. Mi sorprendo di scollinare in 1h16' senza essere distrutto. Ritrovo Marco, il randagio sanmarinese con cui ho fatto il 1000 km a Turbigo. Insieme a un gruppo di ciclisti della Bormiese e a Paolo, un rando da gara di Lucca, ci dirigiamo verso ponte di Legno e attacchiamo il Gavia. In salita c'è poco da stare a ruota. Ognuno sale al proprio ritmo e si formano dei piccoli gruppi omogenei. Nasce casualmente un terzetto che farà unito l'intera prova. Quando timbriamo il cartellino nel rifugio in vetta la cameriera ci dice che siamo matti e ci chiede perchè facciamo una massacrata simile. Ce lo chiederanno in tanti. Ce lo chiediamo anche noi. E' difficile dare una risposta convincente. La discesa dal Gavia sul versante di Santa Caterina non dà problemi. L'asfalto è perfetto e si può lasciare correre la bici. Viceversa il fondo stadale da Ponte di Legno dopo la galleria è in condizioni pietose, con buche e ghiaia. I muraglioni di neve a bordo strada sono spettacolari. Non fa freddo e non uso la mantellina. Basta lo smanicato con gambali e manicotti. Il centro sportivo di Bormio accoglie i randagi al termine del primo anello. Facciamo rifornimento. Tagliatelle al pomodoro, panini vari, scorta di cibo nelle tasche. Ho idea che nonostante la durezza della rando se ci si abbuffa in questo modo non perderemo manco un etto di peso. Nel secondo anello si affronta lo Stelvio da entrambi i versanti. Nei primi tornanti continuo a digerire. Ho esagerato con le tagliatelle. Meno male non ho bevuto il vino. La stanchezza si sente. Salgo a circa 10 km/h. Quando ho fatto la crono durante la Re Stevio la velocità media era stata di 15 km/h e avevo impiegato 1h22'. Sono due situazioni non comparabili. Nella rando bisogna durare e autolimitarsi altrimenti non si arriva in fondo. Mentre saliamo ci vengono incontro 2500 ciclisti belgi che hanno scalato la mitica vetta in mattinata. L'immagine di un infinito serpentone di bici che scendono dai tornanti è sorprendente. Non ci sono auto e moto. La strada è stata chiusa dalle ore 9 alle ore 14. Non si sentono il rombare dei motori o i soliti colpi di clacson di automobilisti impazienti. Si percepisce unicamente lo sfrecciare delle bici in discesa che sibilano e tagliano l'aria e l'ansimare dei ciclisti in salita. La discesa verso Santa Maria è spettacolare. Il parco nazionale offre panorami fantastici e la rando permette di gustarli. L'altro versante dello Stelvio è lungo, lunghissimo, non termina mai. Io e Marco impieghiamo 2h30', 40' oltre al mio personale di 1h50'. Da stanchi la musica cambia, le gambe girano meno, bisogna sapersi gestire e dosare lo sforzo. Paolo ci precede di qualche minuto. E' un granfondista di buon livello che è entrato nei primi 100 alla Sportful, alla Nove Colli e alla Pantani. Tempi di 1h06' sul Mortirolo e di 8h15' alla Sportful li fanno in pochi. Guarda caso è leggero: alto 180 cm per 66 kg (-14 rispetto all'altezza). Anche Marco è leggero e longilineo. La salita non perdona il sovrappeso. Compare un caldo sole che mi fa schiattare sugli ultimi tornati dello Stelvio, quando vedi la vetta vicina in linea d'aria e lontanissima in bici. Ho la borraccia vuota e per due volte Marco mi passa la sua. Questo gesto mi ricorda la mitica foto dove Coppi e Bartali si scambiano la borraccia. Marco è convinto che il gesto generoso lo abbia fatto Bartali. Allora io dovrei interpretare il ruolo di Coppi. Al controllo/ristoro di Bormio c'è l'assalto a Fort Apache. Mangiamo e beviamo di tutto, tranne il vino. Ritroviamo Paolo e in sua compagnia affontiamo il terzo anello. E' il percorso forse meno rinomato ciclisticamente ma Bernina, Forcola, Eira e Foscagno non sono una passeggiata. La peculiarità è percorrerlo durante la notte. Pedalare al buio è particolare. Trascorrere una notte in sella è coinvolgente e, a mio parere, affascinante. Si viaggia più lentamente e anche la fatica si avverte in modo diverso. Una lunga salita di notte di solito mi pesa meno. La prima parte del Bernina la facciamo al tramonto. Dopo Poschiavo cala l'oscurità e accendiamo le luci. Il Bernina non finisce mai e sotto il sole cocente sarebbe una fucilata. Meglio di notte. Alla dogana svizzera facciamo una micrososta e un microspuntino. Mangio l'ennesima banana e lascio la buccia sulla maniglia della porta dell'ufficio del capo delle guardie svizzere. In 30 ore avrò mangiato 8/10 banane. Per qualche giorno non voglio più vedere ne banane ne pasta. La Forcola di Livigno è breve ma mi spezza. Marco e Paolo mi staccano e vedo la luce rossa posteriore delle loro bici allontanarsi lentamente e inesorabilmente. Non vanno forte ma non riesco a tenere il loro passo. Raggiungono la frontiera italiana qualche minuto prima e cercano il timbro da apporre sul cartellino. E' posto su un muretto e il randagio deve ricorrere al self service. La temuta valle di Livigno, probabilmente la più gelida della Valtellina, si rivela meno fredda del previsto. Siamo coperti con l'abbigliamento invernale ed è mezzanotte passata. Il passo di Eira non da problemi mentre il Foscagno è breve ma più pendente. Iniziamo a sudare e ci togliamo qualche indumento. Le soste per coprirsi e spogliarsi, anche se fanno perdere tempo, sono indispensabili per evitare di fare un bagno di sudore e di congelare. Alla dogana In vetta al Foscagno il timbro è nella garrita della guardia di finanza. I due ragazzi in divisa ci accolgono gentilmente, ci danno il foglio di passagio da firmare, il timbro, ci fanno le solite domande e ci offrono dei biscotti. In discesa il faro è Paolo che ha una luce anteriore potente alimentata da una dinamo interna al mozzo. Io gli rimango a ruota e seguo le sue traettorie con Marco che segue le mie. Arriviamo a Bormio alle 2 del mattino. Optiamo per una piccola sosta di 90 minuti per mangiare, sciaquarsi e dare un po' di riposo alle gambe. Scegliamo di non dormire e di continuare la cavalcata notturna. Alle 3.30 torniamo in sella diretti verso il secondo lato del Gavia. Sono 28 km di salita, considerando anche il tratto da Bormio a Santa Caterina. Le gambe hanno accumulato oltre 9000 metri di dislivello ma non sono distrutte. Saliamo lentamente ammirando la luce dell'alba che lambisce le vette innevate. Siamo il solito terzetto e mentre pedaliamo in salita a volte parliamo. Parlando il tempo passa più velocemente e la fatica si avverte meno. Parliamo di tutto, dal serio al faceto. Spariamo anche un sacco di cazzate e di risate. Ma quando la pendenza sale non si ride più. Si spinge sui pedali, ci si aggrappa al manubrio, si tira forte con le braccia, ci si alza sulla sella. Tutta l'energia è finalizzata ad avanzare e a non mettere il piede a terra. Raggiungiamo la vetta alle 6 del mattino. Siamo attorniati da scialpinisti. Loro iniziano la giornata, noi finiamo la nottata. Nella discesa verso Ponte di Legno se si sbaglia a fare un tornante si prende la direttissima e in un attimo si è a valle. La strada è veramente stretta, i tornanti ciechi, le auto che salgono le ritrovi davanti all'improvviso. Bisogna fare molta attenzione. Manca l'ultimo passo: il Mortirolo dal versante di Monno. All'inizio della salita veniamo superati da due ciclisti che ci scattano in faccia. Li lasciamo proseguire senza problemi. Uno dei due lo rincontriamo lungo la salita. Ha perso la baldanza iniziale e pare stia faticando non poco. Da bravo toscano, Paolo ha la battuta pronta e gli racconta quello che stiamo facendo. Il poveretto che arranca di suo si demoralizza ancora di più e con un filo di voce mi dice: "Io ho fatto il Tonale e sto morendo sul Moritirolo. Ma come fate? Come fate?".
Gli ultimi tornanti sono micidiali. Marco è quello che sta meglio del terzetto e guadagna qualche minuto. Paolo ha un ginocchio che fa i capricci e rimane con me. Meno male la vetta è vicina ma Bormio è ancora distante. Manca all'appello il tratto Grosio-Bormio. Non è un passo ma non è un cavalcavia. La strada sale sempre e da Le Prese si impenna al 10%. Rispetto al resto della rando è poca cosa però si fa sentire. Quando arriviamo al centro sportivo ci accolgono con applausi, medaglia, diploma e un sacco di complimenti. Ci fanno un sacco di foto con bici, premi, birre, cuochi e staff. Abbiamo tagliato il traguardo alle10:55 di domenica mattina e abbiamo concluso la rando in 29h55'. Questa accoglienza calorosa viene riservata a tutti. In una rando conta arrivare, non esiste classica, non è una gara, non ci sono avversari, ci sono compagni di avventura. Se un compagno buca ci si ferma e lo si aiuta, non lo si abbandona. Solita abbuffata di pasta: penne al sugo di cervo e penne alla vodka con fiammata annessa. Questa volta brindiamo con il vino locale. A fatica riesco ad alzarmi e mi reco al dormitorio. Sotto il tendone si cuoce. Prendo una brandina e mi colloco all'aperto all'ombra. Appena mi sdraio mi addormento. Il mio corpo è stanco e ha bisogno di riposo: buonanotte.
Sulle prime rampe del Mortirolo le gambette girano bene. Lo faccio al mio passo, usando a volte il 34x30 che ho montato nei giorni scorsi. Mi sorprendo di scollinare in 1h16' senza essere distrutto. Ritrovo Marco, il randagio sanmarinese con cui ho fatto il 1000 km a Turbigo. Insieme a un gruppo di ciclisti della Bormiese e a Paolo, un rando da gara di Lucca, ci dirigiamo verso ponte di Legno e attacchiamo il Gavia. In salita c'è poco da stare a ruota. Ognuno sale al proprio ritmo e si formano dei piccoli gruppi omogenei. Nasce casualmente un terzetto che farà unito l'intera prova. Quando timbriamo il cartellino nel rifugio in vetta la cameriera ci dice che siamo matti e ci chiede perchè facciamo una massacrata simile. Ce lo chiederanno in tanti. Ce lo chiediamo anche noi. E' difficile dare una risposta convincente. La discesa dal Gavia sul versante di Santa Caterina non dà problemi. L'asfalto è perfetto e si può lasciare correre la bici. Viceversa il fondo stadale da Ponte di Legno dopo la galleria è in condizioni pietose, con buche e ghiaia. I muraglioni di neve a bordo strada sono spettacolari. Non fa freddo e non uso la mantellina. Basta lo smanicato con gambali e manicotti. Il centro sportivo di Bormio accoglie i randagi al termine del primo anello. Facciamo rifornimento. Tagliatelle al pomodoro, panini vari, scorta di cibo nelle tasche. Ho idea che nonostante la durezza della rando se ci si abbuffa in questo modo non perderemo manco un etto di peso. Nel secondo anello si affronta lo Stelvio da entrambi i versanti. Nei primi tornanti continuo a digerire. Ho esagerato con le tagliatelle. Meno male non ho bevuto il vino. La stanchezza si sente. Salgo a circa 10 km/h. Quando ho fatto la crono durante la Re Stevio la velocità media era stata di 15 km/h e avevo impiegato 1h22'. Sono due situazioni non comparabili. Nella rando bisogna durare e autolimitarsi altrimenti non si arriva in fondo. Mentre saliamo ci vengono incontro 2500 ciclisti belgi che hanno scalato la mitica vetta in mattinata. L'immagine di un infinito serpentone di bici che scendono dai tornanti è sorprendente. Non ci sono auto e moto. La strada è stata chiusa dalle ore 9 alle ore 14. Non si sentono il rombare dei motori o i soliti colpi di clacson di automobilisti impazienti. Si percepisce unicamente lo sfrecciare delle bici in discesa che sibilano e tagliano l'aria e l'ansimare dei ciclisti in salita. La discesa verso Santa Maria è spettacolare. Il parco nazionale offre panorami fantastici e la rando permette di gustarli. L'altro versante dello Stelvio è lungo, lunghissimo, non termina mai. Io e Marco impieghiamo 2h30', 40' oltre al mio personale di 1h50'. Da stanchi la musica cambia, le gambe girano meno, bisogna sapersi gestire e dosare lo sforzo. Paolo ci precede di qualche minuto. E' un granfondista di buon livello che è entrato nei primi 100 alla Sportful, alla Nove Colli e alla Pantani. Tempi di 1h06' sul Mortirolo e di 8h15' alla Sportful li fanno in pochi. Guarda caso è leggero: alto 180 cm per 66 kg (-14 rispetto all'altezza). Anche Marco è leggero e longilineo. La salita non perdona il sovrappeso. Compare un caldo sole che mi fa schiattare sugli ultimi tornati dello Stelvio, quando vedi la vetta vicina in linea d'aria e lontanissima in bici. Ho la borraccia vuota e per due volte Marco mi passa la sua. Questo gesto mi ricorda la mitica foto dove Coppi e Bartali si scambiano la borraccia. Marco è convinto che il gesto generoso lo abbia fatto Bartali. Allora io dovrei interpretare il ruolo di Coppi. Al controllo/ristoro di Bormio c'è l'assalto a Fort Apache. Mangiamo e beviamo di tutto, tranne il vino. Ritroviamo Paolo e in sua compagnia affontiamo il terzo anello. E' il percorso forse meno rinomato ciclisticamente ma Bernina, Forcola, Eira e Foscagno non sono una passeggiata. La peculiarità è percorrerlo durante la notte. Pedalare al buio è particolare. Trascorrere una notte in sella è coinvolgente e, a mio parere, affascinante. Si viaggia più lentamente e anche la fatica si avverte in modo diverso. Una lunga salita di notte di solito mi pesa meno. La prima parte del Bernina la facciamo al tramonto. Dopo Poschiavo cala l'oscurità e accendiamo le luci. Il Bernina non finisce mai e sotto il sole cocente sarebbe una fucilata. Meglio di notte. Alla dogana svizzera facciamo una micrososta e un microspuntino. Mangio l'ennesima banana e lascio la buccia sulla maniglia della porta dell'ufficio del capo delle guardie svizzere. In 30 ore avrò mangiato 8/10 banane. Per qualche giorno non voglio più vedere ne banane ne pasta. La Forcola di Livigno è breve ma mi spezza. Marco e Paolo mi staccano e vedo la luce rossa posteriore delle loro bici allontanarsi lentamente e inesorabilmente. Non vanno forte ma non riesco a tenere il loro passo. Raggiungono la frontiera italiana qualche minuto prima e cercano il timbro da apporre sul cartellino. E' posto su un muretto e il randagio deve ricorrere al self service. La temuta valle di Livigno, probabilmente la più gelida della Valtellina, si rivela meno fredda del previsto. Siamo coperti con l'abbigliamento invernale ed è mezzanotte passata. Il passo di Eira non da problemi mentre il Foscagno è breve ma più pendente. Iniziamo a sudare e ci togliamo qualche indumento. Le soste per coprirsi e spogliarsi, anche se fanno perdere tempo, sono indispensabili per evitare di fare un bagno di sudore e di congelare. Alla dogana In vetta al Foscagno il timbro è nella garrita della guardia di finanza. I due ragazzi in divisa ci accolgono gentilmente, ci danno il foglio di passagio da firmare, il timbro, ci fanno le solite domande e ci offrono dei biscotti. In discesa il faro è Paolo che ha una luce anteriore potente alimentata da una dinamo interna al mozzo. Io gli rimango a ruota e seguo le sue traettorie con Marco che segue le mie. Arriviamo a Bormio alle 2 del mattino. Optiamo per una piccola sosta di 90 minuti per mangiare, sciaquarsi e dare un po' di riposo alle gambe. Scegliamo di non dormire e di continuare la cavalcata notturna. Alle 3.30 torniamo in sella diretti verso il secondo lato del Gavia. Sono 28 km di salita, considerando anche il tratto da Bormio a Santa Caterina. Le gambe hanno accumulato oltre 9000 metri di dislivello ma non sono distrutte. Saliamo lentamente ammirando la luce dell'alba che lambisce le vette innevate. Siamo il solito terzetto e mentre pedaliamo in salita a volte parliamo. Parlando il tempo passa più velocemente e la fatica si avverte meno. Parliamo di tutto, dal serio al faceto. Spariamo anche un sacco di cazzate e di risate. Ma quando la pendenza sale non si ride più. Si spinge sui pedali, ci si aggrappa al manubrio, si tira forte con le braccia, ci si alza sulla sella. Tutta l'energia è finalizzata ad avanzare e a non mettere il piede a terra. Raggiungiamo la vetta alle 6 del mattino. Siamo attorniati da scialpinisti. Loro iniziano la giornata, noi finiamo la nottata. Nella discesa verso Ponte di Legno se si sbaglia a fare un tornante si prende la direttissima e in un attimo si è a valle. La strada è veramente stretta, i tornanti ciechi, le auto che salgono le ritrovi davanti all'improvviso. Bisogna fare molta attenzione. Manca l'ultimo passo: il Mortirolo dal versante di Monno. All'inizio della salita veniamo superati da due ciclisti che ci scattano in faccia. Li lasciamo proseguire senza problemi. Uno dei due lo rincontriamo lungo la salita. Ha perso la baldanza iniziale e pare stia faticando non poco. Da bravo toscano, Paolo ha la battuta pronta e gli racconta quello che stiamo facendo. Il poveretto che arranca di suo si demoralizza ancora di più e con un filo di voce mi dice: "Io ho fatto il Tonale e sto morendo sul Moritirolo. Ma come fate? Come fate?".
Gli ultimi tornanti sono micidiali. Marco è quello che sta meglio del terzetto e guadagna qualche minuto. Paolo ha un ginocchio che fa i capricci e rimane con me. Meno male la vetta è vicina ma Bormio è ancora distante. Manca all'appello il tratto Grosio-Bormio. Non è un passo ma non è un cavalcavia. La strada sale sempre e da Le Prese si impenna al 10%. Rispetto al resto della rando è poca cosa però si fa sentire. Quando arriviamo al centro sportivo ci accolgono con applausi, medaglia, diploma e un sacco di complimenti. Ci fanno un sacco di foto con bici, premi, birre, cuochi e staff. Abbiamo tagliato il traguardo alle10:55 di domenica mattina e abbiamo concluso la rando in 29h55'. Questa accoglienza calorosa viene riservata a tutti. In una rando conta arrivare, non esiste classica, non è una gara, non ci sono avversari, ci sono compagni di avventura. Se un compagno buca ci si ferma e lo si aiuta, non lo si abbandona. Solita abbuffata di pasta: penne al sugo di cervo e penne alla vodka con fiammata annessa. Questa volta brindiamo con il vino locale. A fatica riesco ad alzarmi e mi reco al dormitorio. Sotto il tendone si cuoce. Prendo una brandina e mi colloco all'aperto all'ombra. Appena mi sdraio mi addormento. Il mio corpo è stanco e ha bisogno di riposo: buonanotte.