Marco Pantani

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LeleF14

Apprendista Scalatore
14 Aprile 2007
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Milano & Tremezzo
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Bici
Orbea Orca 2010
Praticamente ho smesso di seguire il ciclismo pro quando hanno lo hanno squalificato a Madonna di C., fino in questi ultimi 2-3 anni che ho ricominciato a praticarlo

Però ogni volta che rivedo i video con le sue azioni, mi rengo conto di quant'era forte.... :cry:
 

"Morris"

Novellino
19 Febbraio 2008
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Romagna
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Giro d’Italia 2008: la Fondazione Pantani, premierà gli striscioni più significativi su Marco.

Sembra ieri: Adriano De Zan ad urlare e milioni di persone col cuore in gola, ad incitare il Pirata davanti a tutti, verso un traguardo che sognava da bambino; verso un anno che, dal ciclismo, s’è
scolpito nella storia dello sport.
Sembra ieri, ma sono passati due lustri, da quando quel ragazzo venuto dal mare per incantare i monti, seppe fare doppietta Giro-Tour. Marco non c’è più fisicamente, da un lustro non parte per la corsa rosa, eppure resta immutato negli epigoni passionali della gente che s’avvicina ai monumenti della bicicletta.
In questi anni ha continuato a correre come se, d’incanto, dalla curva adiacente la posizione di migliaia e migliaia di persone, uscisse solitaria la sua sagoma sul pedali, con quel passo a scatti e le mani sulla parte bassa del manubrio.
Marco c’era e c’è ancora. Vive nello spirito di chi non può dimenticare, rappresenta quell’indole che non s’incrina perché rivisitandola, continua a giungere come proiezione del “si può”, della “fortuna d’aver visto”, del “sogno tridimensionale davvero toccato e vissuto”. Nel suo dipingere i pedali, ci sta un credo che ha mosso e spinto folle verso il ciclismo, tanto osservato quanto praticato, eleggendosi propulsore sublime di questo sport.
Si avvicina il Giro d’Italia, teatro e pinacoteca d’esordio delle recite e dei dipinti di Marco, occasione da sempre per i tanti che hanno il Pirata nel cuore, di rendergli omaggio e ricordo. In tutti questi anni, pur senza il campione sulle strade, striscioni, cartelli e cori inneggianti Pantani, si sono evidenziati nettamente come i più popolari e presenti.
La Fondazione Marco Pantani Onlus, lo ha ben presente e non può dimenticarlo. Per questo, ha deciso di promuovere un’iniziativa che dia un segno di riconoscenza a quelle migliaia di tifosi che continuano immutati a portare sugli itinerari del Giro la presenza di Marco. Saranno così pubblicate, in un apposito contenitore, tutte le foto di semplici scritte, striscioni e cartelli riguardanti il Pirata, collocati sulle strade del Giro 2008, giunte via posta elettronica alla sede e saranno premiate le tre più significative.
Per chi intende aderire, non importa se singolarmente o in gruppo, dovrà inviare l’istantanea corredata dei riferimenti del caso, entro il 30 giugno 2008 a: [email protected]
Un’apposita commissione della Fondazione, analizzerà le foto e stabilirà le tre che andranno a ricevere il premio durante la Granfondo “Pantanissima”, che si terrà il 7 settembre, con partenza ed arrivo a Cesenatico.

p. Fondazione Marco Pantani Onlus
Maurizio Ricci
 

"Morris"

Novellino
19 Febbraio 2008
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Romagna
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Allo Spazio Pantani, presentazione delle tappe del Tour de France 2008 a Cuneo...

Cesenatico - Da quando il 25 ottobre 2007 ne è stato dato l'annuncio ufficiale alla presentazione di Parigi, la “tre giorni” del Tour de France 2008 in Italia (in Piemonte, nel Cuneese) viene illustrata con entusiasmo in più occasioni e in numerose sedi.
Nel decennale della vittoria del “Pirata” al Tour, quello dello “Spazio Pantani” di Cesenatico, sabato 17 maggio, alle ore 16, in concomitanza con la popolare “Nove Colli” è uno degli appuntamenti clou scelti dal Comitato Granda Tour 2008 per presentare il prestigioso evento sportivo. Il favoloso e storico tris giallo è già stato presentato, alla BIT di Milano, e lo sarà presto anche a Roma in Regione Piemonte in via Quattro Fontane, a Torino e Genova.
La maglia gialla arriverà in provincia di Cuneo domenica 20 luglio partendo da Embrun, nella quindicesima tappa di 185 chilometri con traguardo a Prato Nevoso. L'ingresso nel territorio nazionale avverrà dal Colle dell'Agnello (celebre “Cima Coppi” del Giro d'Italia 2007) che ha sostituito il Colle della Maddalena per problemi di viabilità nel territorio francese.
Il successivo lunedì 21 luglio, sarà giorno di riposo, il primo nella storia del Tour al di fuori del territorio francese. Fra gli eventi promossi da Granda Tour, proprio quella sera è prevista una cena di gala al Castello sabaudo di Racconigi, alla quale parteciperanno 500 giornalisti e numerose autorità e personaggi di spicco italiani e francesi, tra cui i 50 sindaci delle città francesi gemellate con i Comuni della provincia cuneese, al fine di rafforzare la cooperazione transfrontaliera in nome dello sport e del ciclismo.
La sedicesima tappa, martedì 22 luglio, scatterà dal centro di Cuneo verso Jausiers, 157 km.
Inutile dire che, per il Piemonte e in particolare per la provincia di Cuneo si tratta di un evento storico.
Mai il Tour de France era stato così presente nel territorio cuneese. Vi transitò solo nelle edizioni del 1952 (tappa Sestrière-Monaco) e del 1961 (Torino-Antibes-Juan les Pins), salendo sul Colle di Tenda che segna il confine tra l'Italia e la Costa Azzurra francese.
Tutto il Cuneese è in fibrillazione. Le località di arrivo (Prato Nevoso) e partenza (Cuneo), e anche tutti i comuni che verranno attraversati, stanno allestendo presentazioni, eventi e appuntamenti per creare interesse intorno alla maglia gialla.
“Noi del Cuneese veniamo da numerose organizzazioni di tappe del Giro d'Italia, ininterrottamente dal 1990 al 2005, e poi nel 2007; siamo sempre stati entusiasti e con noi il popolo del ciclismo - dice Ferruccio Dardanello, presidente di Granda Tour 2008 e della Camera di commercio di Cuneo -. Ma quel 25 ottobre 2007, quando a Parigi il direttore del Tour Christian Prudhomme ha pronunciato le parole Prato Nevoso e Cuneo dandoci la conferma di essere stati scelti, confesso che ho provato un'emozione unica. Il Giro è grande. Il Tour è unico. Ha numeri sensazionali, secondi a livello sportivo solo a Mondiali di calcio e Olimpiadi estive. A livello mediatico, è un fenomeno globale che arriva a coinvolgere 15 milioni di spettatori di 38 nazionalità, diffuso su Internet, sui giornali, con tre miliardi di contatti televisivi in Europa, America e Giappone: e nel 2008, ci saranno le dirette negli Emirati Arabi e in Cina”.
Sullo “Spazio Pantani” e su quanto il “Pirata” ha saputo dare al ciclismo e ai tifosi anche del Cuneese, Dardanello aggiunge: “Siamo onorati di essere a 'Casa Pantani'. Anche nei momenti più difficili della sua carriera, e nei suoi momenti eroici, la nostra terra ha sempre dedicato al 'Pirata' del ciclismo affetto e incitamenti. Anche da noi, ha regalato forti emozioni. E il monumento che abbiamo voluto dedicargli lassù dove volano le aquile, a quota 2.500 metri, sulla Cima Fauniera, è un bellissimo, commosso, sincero e semplice atto d'amore verso un grande campione. Ribattezzare quella montagna con il suo nome, come ha proposto il Consiglio comunale di Castelmagno (il Comune della Fauniera) rappresenta un atto stupendo e giusto”.
Nella stessa giornata di domani, il comitato Granda Tour, unitamente all’associazione sportiva COL Cuneo, posizionerà all’interno dello “Spazio Pantani” un poster che ritrae il monumento posto sul Fauniera, a ricordo del campionissimo.
 

"Morris"

Novellino
19 Febbraio 2008
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Romagna
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Per chi mi ha chiesto che cos’è l’Isola del Pirata.


“L’ Isola del Pirata”, è un’iniziativa della “Pantani Forever” srl, società che ha stretto un rapporto, con tanto di disciplinare contrattuale, con la famiglia Pantani, relativamente all’organizzazione di eventi portanti il nome di Marco, nonché la cura dell’immagine ad essi legata. Il contratto stabilisce quali iniziative, il periodo e gli orizzonti di impegno della nuova società e quali aree di azione e proposta a carico diretto della Fondazione.
Gli utili delle attività svolte dalla Pantani Forever - società diretta da Sergio Piumetto, dirigente segnalatosi per le grandi esperienze maturate, in Italia e all’estero, nel campo del marketing e nell’organizzazione di eventi sportivi di più discipline - saranno per il 50% destinati alla Fondazione Marco Pantani Onlus. L’accordo s’è reso necessario per le difficoltà anche statutarie di quest’ultima, nonché per l’esigenza di avviare presenze e proposte in direzione di quella mondializzazione sincronica al tratto e alle consistenze che Marco ci ha lasciate in dote.

“L’isola del Pirata”, parimenti alla due giorni ciclistico amatoriale di Les 2 Alpes (http://www.lapantani-les2alpes.com), sono appunto iniziative formulate e gestite dalla Pantani Forever srl, la quale si è rapportata autonomamente con gli interlocutori organizzativi di questi eventi: in questo caso la RCS Sport per il Giro d’Italia e l’Ufficio del Turismo di Les Deux Alpes.
Relativamente al Giro, i tempi ristrettissimi per attrezzare il contenitore base della cittadella che forma “L’isola del Pirata”, ovvero un track americano (prima esperienza di tal tipo in Europa relativamente al ciclismo), han spinto la dirigenza della Pantani Forever a non annunciare l’iniziativa. Non a caso, la novità, coi suoi circa 200 metri quadrati di spazi multimediali ed espositivi, s’è unita alla carovana della “corsa rosa”, solo da Catanzaro e le fotografie che si trovano su Internet, sono molto incomplete, proprio perché ritraggono il track, ancora in fase di allestimento.
Nei programmi della società, l’esperienza del Giro, sul quale, va detto, c’è stata immediatamente una grande disponibilità della RCS e, di conseguenza, della Gazzetta, fungerà da spinta per seguire il maggior numero possibile dei principali eventi ciclistici europei.

Cosa c’è dentro l’Isola?
Un’area destinata al museo itinerante su Marco, uno spazio per il merchandising, un bar, uno spazio aperto per proposte rivolte al pubblico, musicali e non, ed uno spazio per apposite registrazioni a mo’ di dibattito, per quella che dovrebbe divenire la “Pantani Channel”, televisione in streamming. A questo Giro, in virtù dei tempi a disposizione e per l’insistenza di un rapporto in esclusiva della RAI, non è potuta partire la Channel col palinsesto che s’era data e, di conseguenza, tutti quelli che sono i contenuti di una televisione che vive dal di dentro una manifestazione, quindi dibattiti, interviste ecc.. Ci sono però gli altri riferimenti e, si spera, anche la musica dal vivo. Nell’attesa, spazio al sound di DJ Theo, un francese che è da considerarsi icona di questo campo nel suo Paese.

Lo staff, italiano e transalpino, che la Pantani Forever ha proposto per l’Isola del Pirata, ha in pianta anche due ex corridori che a Marco sono stati vicinissimi, come Marcello Siboni, una spalla storica, nonché Patrick Martini, un giovane ex azzurro juniores, che è cresciuto col mito del Pirata.

Il decennale della vittoria del Capitano al Giro, porta dunque questa novità, ed è ovvio che il marketing della RCS, fosse ben lieto di ospitare una simile presenza. Anche perché, si sa, nessuno ha più richiamo e tifosi, di Marco Pantani…. Il tutto, ovviamente, indipendentemente dal pesante giudizio rimasto tale, in Fondazione Pantani e fra i tifosi, su quanto scritto dalla Gazzetta e dal suo direttore in particolare, sulle vicende di Marco.
Un’ultima nota è doverosa. Questo mio intervento ha voluto chiarire solo alcuni passi della iniziativa, perché su prospettive e comunicazioni, d’attualità o breve periodo, dovrà essere la stessa Pantani Forever a determinarsi.

Intanto per chi vuole seguire qualcosa, sul Giro d’Italia, direttamente dall’Isola del Pirata, inserirò in calce a queste note il link che vi condurrà ai video della…… 'Pantani Channel'. Potremmo definirli: 'prime prove di quello che verrà'....

http://www.srweb.eu/video.php





Maurizio Ricci “Morris”
 

"Morris"

Novellino
19 Febbraio 2008
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Romagna
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5 giugno 1999

Doveva essere un giorno radioso
un segno aggiunto
alle tue alate stimmate
un pegno per chi ha un cuore.

Lassù
un caleidoscopio di colori
s’univa ai paesaggi tuoi dioscuri
intingendo di passioni e di gioie
la profondità dei sentimenti:
arrivavi tu
che eri tutto questo per tanti.

Quel tuo pedalare verso la cima
che simboleggiava la vita
ed il suo corso di sofferenze
perché anche tu facevi fatica
per le menti vere
che aborran freddezze
eran messaggi che cercavan
un’altra giornata di glorie.

Dovevi dipingere il cielo per donare
come l’istinto t‘ha sempre detto
ma per l’invidia e gli interessi
celati sui lustrini del giusto apparente
quali perfide lame
delle nostre diffuse decadenze
il tuo essere Marco Pantani
non poteva star bene.

Come i cinici che tracce
non posson lasciare
per l’ovvietà del fetore di scopo
t’hanno sfregiato il cuore
ben sapendo che agli artisti veri
un urto a quell’organo
scatena torture di morte.

Ma le leggende non muoiono
nello spirito e nei significati
e per chi le ha volute colpire
ci sarà la perenne angoscia
d’esser stato carnefice.

Morris
 

Mirconek

Pedivella
16 Gennaio 2007
333
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Lago Maggiore
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Bici
Scott Addict
Vorrei raccontarvi cosa ho fatto io per ringraziare il Pirata per avermi fatto incominciare ad amare il ciclismo e poi a praticarlo:
" era l'estate del 2005, vacanza a Milano Marittima con la morosa, ho preso la graziella dell'albergo, tutta scassata, e a manetta, sono andato a cesenatico al cimitero per portare un mazzo di fiori rosa a Marco....non potete immaginare come andavo, sembrava che volassi con qualla bici scassata...non avevo il contakm, ma secondo me sopra i 30 km/h fisso!c'erano le auto in colonna su quella lunga provinciale, che mi guardavo male!! volavo, grazie alla forza del Pirata!!!"
 

piratadentro

Apprendista Velocista
1 Giugno 2006
1.221
13
40
firenze
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.....io non ti saluto perchè sento in me la tua presenza costantemente..................CHI AMA NON DIMENTICA

Dobbiamo farlo capire a chi cerca di farlo dimenticare in tutti imodi ma nn ci riesce....l'anno scorso lungo il percorso del giro gli organizzatori strappavano gli striscioni per il pirata....qst anno invece il mortirolo era deserto...solo 30'000 persone e in vetta era pieno di striscioni per il pirata ma l'unico che hanno inquadrato è stato quello MARCO VIVE in prossimità del monumento che nn potevano evitare...
Non hanno detto neanche una parola sui 10 anni dalla vittoria del Pirata e non hannoi mai parlato dell "Isola del Pirata"...

MARCO VIVE E CONTINUERA' A VIVERE NEI CUORI DI CHI HA CREDUTO E CREDE IN LUI!!!

COME HAI DETTO TU "CHI AMA NN DIMENTICA!!!"
 

"Morris"

Novellino
19 Febbraio 2008
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Romagna
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Oggi 10 anni fà Marco vinceva il giro....come passa il tempo.


Con la vittoria al Giro d’Italia, Marco iscriveva sugli albi d’oro il suo talento unico e quelle emozioni che lo avevano già eletto al vertice delle attenzioni della gente. Un’iperbole, che spostava sul ciclismo, bagliori ed intensità che si credevano impossibili, nel Paese divenuto genuflesso a quel calcio vissuto ben oltre i confini di un razionale e pulito amore sportivo. Pantani, era davvero un “Pirata” anche in questo, troppo perché nell’Italietta sempre tale, dove alla siamese invidia s’accoppia quella pessima cultura dello sport, che lascia spazi a tetri e mefitici interessi, non ci fosse qualcuno disponibile a tramare la futura soppressione dell’ingombrante intruso…..

Ma oggi sono dieci anni da quel piovoso giorno milanese che donò il rosa a Marco. Lo voglio ricordare attraverso i sentieri che sono più congeniali al tratto artistico del Pirata, il cui mito, nonostante l’azione inversa di poveri mendicanti le più belle delle facoltà umane, mai potrà morire.




Mitologia: Pantani, insieme moderno di Apollo e Pan.

Un tempo, la mitologia era un motore degli studi classici, un riferimento per costruire nei giovani il volto vero delle metafore, ed a concepire il versante più profondo della retorica. La fantasia greca, che era stata sì capace di condensare quel pragmatismo che portò al dominio militare senza disperderne mai gli aspetti culturali, trovava nella mitologia, tanto la sovrastruttura della religione pagana, quanto il solco più evidente di un’antropologia che ha poi segnato l’intera storia umana. Quel tronco culturale che è passato sull’intera terra attraverso le trasmissioni delle conquiste, dei cambiamenti sociali, degli stessi confini fra popoli e stati, s’è inchinato anch’esso alle sempre crescenti barbarie dei difetti umani spinti all’ennesima potenza dal danaro, ma non è scomparso. Nella nostra ellisse, fra gli istmi e le autostrade più apparenti che reali del nostro cammino, quel filone culturale che potremmo ormai definire ancestrale, ogni tanto fa capolino e lo ritroviamo come un’oasi che ci può far sognare, fantasticare, ma anche insegnarci un’elevazione che i pragmatici bigliettoni, mai e poi mai potranno. Sì, la mitologia, che i vecchi come me han sempre tenuto come autoctona riserva per sorridere nell’interno, aldilà dell’apparenza esterna, continua a generare i suoi impianti e le similitudini nell’ogni incontro, fino ad intenerire ed alleggerire l’animo verso il prossimo. Della fantasia greca, prima ancora dei sontuosi ed illuminati ricettori romani, giungono richiami che si librano inimmaginabili anche in chi sembra moderno o troppo figlio dell’odierna “era della fretta”. E’ trascinante condensare quei flash fra passato lontanissimo ed immaginario sulle spalle di figure presenti, ma diverse dal solito, le stesse che avrebbero spinto quei fulcri ellenici, a sfornare mito su un campo d’azione particolare: un distinguo da seminare sulla terra per avvicinarla al cielo.
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Quando incontrai i primi segni di Marco Pantani ne rimasi affascinato, ma il fascino era ancora troppo debole di fronte al pragmatismo del narratore intriso di cronaca, di quel giornalista mai consideratosi tale, ma ugualmente votato al ruolo. La conoscenza diretta aumentava l’interesse, iniziava a far da strada al sogno e alla fantasia su un ragazzo che già appariva troppo anomalo per non entrare nel territorio degli artisti. Lui si muoveva con l’istinto, con le sensazioni per provare compiutamente se stesso. Che mi piacesse sempre più era normale, troppo normale per rimanere sulla crosta di quello status e quando il tempo, gli incontri, ed i suoi voli iniziarono la continuità dell’essenza, mi ritrovai a scavare sulle mie autoctone pagine, là, in quegli angoli che davano anche a me, il piacere di volare. Negli anni mi feci l’idea che la mitologia in qualche modo avesse di Marco tracciato qualche stampo involontariamente imitato, un qualche emulo da togliere dal condensato per capire quel ragazzo che dipingeva ogni cosa che toccava, nella sofferenza e nei disagi, quanto nelle gioie. Mi colpiva un aspetto: i suoi allenamenti totalmente istintivi e densi dell’intuito di chi sa leggere se stesso come nessuno, senza sapere quali motivazioni, magari scientifiche, ne fossero alla base, erano un riferimento, nelle sue zone, per giovani pedalatori del mezzo bicicletta, per la gente che poteva essere lungo le strade a ricercare un’occasione per vederlo. “Ho incontrato Pantani” – mi disse un giorno un giovane juniores appena mi vide. “Ho pedalato senza staccare gli occhi da lui, dal suo stile, dalla sua leggerezza, tanto, ma tanto di più di quando lo vedo in televisione, dove pure mi incollo sul video. Ero ipnotizzato e non sentivo la fatica. Era troppo bello stargli a due passi, nel silenzio di una strada di montagna”- continuò come se il suo sguardo fosse un orizzonte. “Oggi sono stato fortunato, ho visto qualcosa che né la televisione né la tanta gente incontrata sulla bicicletta, mi avevano fatto vedere. Purtroppo sono stati pochi attimi, ma era tanto tempo che cercavo l’incontro con Marco, da sentirmi più che soddisfatto” – mi raccontò un vero cicloturista da quarant’anni sulle strade. “Se lo incontri su una carreggiata, ti nasce il bisogno di farlo sempre. E dire che non ero un suo tifoso” – mi disse un amatore di quelli che corrono inseguendo il sogno di essere qualcuno. Testimonianze a decine che m’han raggiunto negli anni fino a finire nella mia squadra, attraverso le parole di una che vedevo luminosa e che tolsi dall’abbandono della carriera. Una che poi, grazie anche alla mia ingovernabilità razionale, divenne grande fino ad entrare nel novero dei dieci leggendari delle doppiette che han segnato come nessuno la storia del pedale. Una che parlava poco, difficile alla partecipazione emotiva e al dipinto del sogno da esternare a qualcuno. Lei mi parlò con le lacrime agli occhi e dal suo racconto si formò compiutamente in me, quell’interno trasporto che univa, della mitologia, un fulcro dei suoi aloni con l’inimitabile Marco Pantani.

Quella atleta m’aveva aspettato pazientemente frenando la sua immanente voglia di raccontare per condividere. L’aveva fatto a margine dalla tavola dove le compagne parlavano di argomenti che in quel tardo pomeriggio vedeva tanto secondari alla luce che l’aveva illuminata. Non voleva graffiare quel chiarore che l’aveva avvolta fino a portarla a vedere in me, uno scrigno su cui depositare quel tesoro trovato per caso. Quando mi vide mi rapì per portarmi là dove nessuna collega poteva sentirci. Era decisa, come non l’avevo mai vista. I suoi occhi neri brillavano come fossero rinfrescati da quella sottile patina che solo le lacrime di gioia sanno creare. Aveva incontrato Marco e me lo voleva dire. Sì, proprio lei, che era la compagna di uno dei gregari più importanti del suo principale avversario, era rimasta folgorata da quell’incontro. “Mi ha come preso per mano – esordì – mettendomi a mio agio col racconto di quel giorno sulle montagne dell’altura colombiana, dicendomi dei colloqui in corsa fra lui e chi sai, della sua impossibilità di scattare come voleva per la pioggia che aveva reso scivoloso un asfalto molto strano. Della consapevolezza che di questa sua impossibilità aveva un avversario che considerava leale e che stimava, ricambiato. Dovevano correre per il mondiale, erano i più forti, ma furono beffati da un campione normale. M’ha raccontato del suo amore verso la bicicletta e di quanto sia importante viverlo, sempre, come il primo giorno. Mi ha incoraggiata, dicendomi che sono brava e di quanto sia bello il mio stile tanto simile a quello del suo avversario. Secondo lui, prima o poi, diventerò una figura importante. S’è poi interessato alla mia storia e al nostro mondo, dicendomi che è necessario farci sentire, perché il ciclismo, sport di fatica e di valori, non può continuare a vivere con queste sproporzioni fra uomini e donne. Ad un certo punto, s’è ricordato che doveva raggiungere i compagni e, dopo essersi scusato, l’ho visto allontanarsi fino a sparire all’orizzonte con una velocità mai vista. Lui è immenso, non ha solamente il fascino dei campioni, ma qualcosa di molto più grande. Non mi chiedere cosa sia però, perché non sarei capace di spiegarlo nemmeno nella mia lingua”. L’avevo lasciata parlare di getto senza accennare il benché minimo frammezzo. Non l’ho mai più vista così, nemmeno quando conquistò eccelsi traguardi. Alla sua ultima frase, le lacrime, che le erano cresciute mentre il suo racconto scorreva, avevano raggiunto l’intensità ed il suono del pianto. Era l’emozione di una gioia.

Dopo poco più di un mese da quella sera, il 5 giugno 1999, l’omino perfetto su una bicicletta, colui che dipingeva tutto ciò che toccava fino a creare in chi poteva, l’intima volontà di incontrarlo sulle strade montane, fu sfregiato e colpito. Per un normale, magari intriso d’ipocrisia, opportunismo e cattiverie tipicamente umane, il colpo sarebbe stato assorbito, per un artista supremo no! Se non fosse stato così, non l’avremmo mai raccontato e gli sguardi non avrebbero mai accompagnato l’intensità di quel coacervo di emozioni che stanno fra gli occhi e il cuore. E come tutte le storie che si vogliono perfide, al colpo che straziava l’artista che si condensava nel mito, fece seguito la tortura più becera: quella che congiunge sinergica la bocca mefitica dei media, con l’inconsapevole incapacità di riconoscere il boia che può giacere in una toga.


Morris (segue)
 

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Novellino
19 Febbraio 2008
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Nei miei voli interni e totalmente autoctoni, fu l’incontro di quella mia atleta con Marco, a definire la cornice del riferimento mitologico per quel ragazzo così unico sulla bicicletta, che tutti volevano vedere da vicino, sulle medesime strade e traiettorie, per poter dire: “L’ho visto dal vivo, senza il confronto con gli altri e me lo sono impresso nel cuore”. Già, quello che scorreva, finalmente s’era congiunto e si imponeva: “Marco era una figura che sublimava Pan e Apollo!” Un po’ l’uno, ed un po’ l’altro.
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Della divinità arcadica Pan, addirittura iniziale del suo agnomen, raccoglieva l’imprevedibilità (sia nel tratto agonistico di gara, che di allenamento), l’amore per le forme artistiche (per Pane, come era altresì conosciuto quel dio, la musica e la danza; per Pantani la pittura, la musica, la stessa danza, ed una sottile vocazione poetica che superava le difficoltà sintattiche). Il dio proteggeva i cacciatori ed i pescatori, a cui era legato perché li vedeva come forme estreme, o acute, di quella natura contenitore esaustivo del bisogno primario dell’uomo: sfamarsi. Per cacciare e pescare servivano pure doti di furbizia, intelligenza, resistenza ed istinto. Marco difendeva (inascoltato o usato) la sua categoria, ovvero quei ciclisti che sono spesso cacciatori e pescatori in un mare di resistenza, dove per emergere, non basta essere lì, ma servono tutte le facoltà di nascita. Di loro era sindacalista prima ancora che per ruolo, per il bisogno di difendere l’essenza della natura dello sport, ovvero, proprio l’atleta. Pan, quando era spinto dall’amore verso la naiade Siringa e lei per respingerlo si trasformò in una canna con un aculeo (di lì il termine “siringa”), seppe far diventare quell’arnese un flauto dal suono melodioso e trasportante. Pantani, nell’immedesimarsi sul sentito dipinto del ciclismo, modificò senza cancellare l’umana sofferenza, la fatica e la cattiveria delle asperità, in un inno alla bellezza di quella prova, fino a donare in chi lo guardava, l’ebbrezza e la leggerezza d’un gioioso sogno. Pan, era il dio delle selve che erano i luoghi in cui si confondeva; Marco, nei suoi dipinti, portava quei boschi che erano per lui un riferimento e che avrebbe sicuramente vissuto con intensità più estesa, se non fosse nato in quest’era metallica, intrisa dei connotati dello stress e del superficiale. La divinità arcadica era protettore dei greggi o pastori e ne presiedeva il sonno sul mezzogiorno, ma concedeva loro pure il sogno rivelatore del futuro, a volte denso di terrore (di lì il termine “timor panico”). Pantani, alle genti moderne, nelle ore di libertà, donava un gesto sublime da viversi come la costruzione, mattone su mattone, di un’illusione, ma spezzava quegli incantesimi nelle altre ore del giorno, attraverso frasi rivelatrici (spesso inascoltate), quasi sempre avveratesi, alcune così pesanti per le crude verità contenute, da spingere i carnefici alla sua possibile soppressione: in fondo era un uomo, quindi vulnerabile. Pan, non simboleggiava valore sociale o morale, ma l’istinto. Marco, i valori li voleva simboleggiare nelle interpretazioni delle gesta, non voleva ergersi esempio per confondersi prete in un mondo che i preti non li possiede manco quando ne portano vestigia, mentre dell’istinto era supremo siamese. La divinità arcadica, per il suo naturalismo, ed i significati del suo nome tradotti alla lettera dal greco (Pan, significa “il tutto”), spinse la filosofia a definire “panteisti”, coloro che affermavano che "tutto è Dio", oppure che "tutto è divino", identificando la natura come somma divinità. Panteisti furono, tra gli altri, Johannes Eckhart, Giordano Bruno, Friedrich Schelling e Wilhelm Hegel. Marco Pantani, ha avuto tutto per fare di lui l’ispiratore di una corrente che vuole leggere le gesta sportive, dall’interno del talento. Del genio e dell’istinto portato sulle strade da allenamenti pettinati e da una vita che concedeva ai centri nervosi l’importanza di non sottrarsi alla vita stessa, nel giusto dosaggio che le proprie facoltà istintivamente consentivano. Non l’uomo che diventa campione attraverso programmazioni da monaca di clausura, ma atleta che si priva fisicamente e mentalmente il limite minimo possibile, per raggiungere, nel proprio acuto dipinto, l’espressività più vera, profonda e intensa. Dell’atleta che insegna agli allenatori, quanto sia, proprio il talento, la prima ed insostituibile pagina da mettere nel cuore e nel cervello, affinché lo sport divenga realmente una testimonianza del sublime dono della vita. Un’ellisse che non va mortificata con fili, macchinari, impulsi e quadranti di quell’orrida e criminale matematica che vuole dare esattezza e risposte, a ciò che è più grande di noi, perché l’ignoto l’ha impresso, senza leggi, all’interno dell’insieme d’un copro e di una mente.
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Apollo, che nella mitologia possiede diverse sovrapposizioni d’epigone col meno noto Pan, era il dio della luce, delle arti e della bellezza. Un dio che era arrivato, pur nelle immediate dimostrazioni di divinità, alla considerazione piena del ruolo, con grandi difficoltà indipendenti da lui. Di questa figura mitologica, Marco, ha rivissuto il tratto più completo e convinto. La luce di Phoebos (il brillante greco, altro nome d’Apollo), viveva in Pantani quando lo incontravi sui segni della sua gestualità sulla bicicletta. Era il trasporto narrato da chi lo incontrava in allenamento, prima ancora di ciò che si vedeva quando partiva nei suoi voli d’impresa agonistica. Era il fascino che trasmetteva e che assumeva, sempre, la luminosità nelle trasposizioni figurate Che fosse un artista nel suo modo di concepirsi ignaro del resto, ma solo vivendo le voci ed i richiami del suo interno, non è un pallino delle mie convinzioni, ma una lettura per chi gli stava vicino e non lo viveva con la perfidia dell’interesse e del tornaconto. A parlare per Marco ci sono i raffronti, le tracce indelebili, riassumibili nell’intensità di altre forme del suo tratto: i dipinti innanzi tutto. Nessuno può negare quanta musicalità vi fosse nella sua pedalata e poesia nel suo modo di scrivere, aldilà degli errori in italiano. La scelta istintiva degli aggettivi, alcuni da pensare sconosciuti per uno di siffatta scolarità, eppure presenti fino al grido, come una disperata ricerca di far capire la necessità di una riflessione pronta all’inversione o alla constatazione, sono tutti aspetti peculiari della poesia. Indi, la bellezza vissuta sullo stile perfetto che diventava ancor più evidente, quando la fatica confondeva l’umana sofferenza, ed ogni singolo tassello del gesto, assumeva la verità dell’essenza. La scalata di Oropa, incredibile a dirsi, ha trovato nell’impresa agonista eccelsa, un fatto secondario rispetto alla perfezione stilistica che portava sul mezzo, la trasmissione più fedele possibile delle sue qualità fisico mentali. Mai ho visto una tale congruenza nell’intero sport. E dire che tutto ciò che si poneva fra Marco e la bici, era il frutto del suo seminato istintivo. Infine, per completare il confronto col mitologico Apollo, i suoi incidenti di percorso, prima della definitiva consacrazione. Già, se per la divinità erano gli altri dei, ed in particolare Zeus, ovvero suo padre, nonché sommo d’Olimpo, a creargli difficoltà di percorso, sottoponendolo a penitenze e conseguenti purificazioni, anche per Pantani, ad un certo punto, sembrò farsi insuperabile l’avversità del fato. Per questi motivi perse tappe importanti del suo segmento umano, ma seppe sempre rialzarsi fino a divenire invincibile fra i propri compagni d’essere. Non si rifece solo di fronte all’agguato che era stato scelto per lui, al fine di definirlo, appunto, un uomo. Lì fu ucciso, ma nonostante lo scopo raggiunto dai carnefici a livello terreno, non fu ammazzato il suo mito. Sì, proprio quel mito che urla ogni notte nelle rarefatte coscienze di quei boia, per trafiggere con l’arco d’Apollo, il loro umano senso di panico.

Maurizio Ricci (Morris)
 

redvex

Pignone
18 Aprile 2008
283
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Ragusa
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se un giorno arriverà un ciclista capace di emozionare la gente come ha fatto Marco, allora il ciclismo tornerà quello del pirata... c'aveva provato Basso e sappiamo com'è andata... potrebbe riprovarci lui stesso l'anno prossimo... o magari Cunego o Riccò... ma mai nessuno potrà essere il nuovo Pantani, perchè di Pantani ne nascono pochi, perchè alle innegabili doti fisiche accoppiava doti di coraggio non comuni, perchè sapeva far scattare in piedi la gente mentre lui i suoi scatti li faceva in salita o in discesa e quando partiva... non c'era persona umana che potesse stargli dietro perchè lui era il pirata... lui era semplicemente il più forte... e i più forti spesso sono destinati ad essere levati dal mezzo come purtroppo accadde a Marco quel maledetto giorno a Madonna di Campiglio :(

Ciao Marco... sempre nei nostri cuori...
 

lokomotiv

Novellino
15 Aprile 2008
17
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Bussero (mi)
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se un giorno arriverà un ciclista capace di emozionare la gente come ha fatto Marco, allora il ciclismo tornerà quello del pirata... c'aveva provato Basso e sappiamo com'è andata... potrebbe riprovarci lui stesso l'anno prossimo... o magari Cunego o Riccò... ma mai nessuno potrà essere il nuovo Pantani, perchè di Pantani ne nascono pochi, perchè alle innegabili doti fisiche accoppiava doti di coraggio non comuni, perchè sapeva far scattare in piedi la gente mentre lui i suoi scatti li faceva in salita o in discesa e quando partiva... non c'era persona umana che potesse stargli dietro perchè lui era il pirata... lui era semplicemente il più forte... e i più forti spesso sono destinati ad essere levati dal mezzo come purtroppo accadde a Marco quel maledetto giorno a Madonna di Campiglio :(

Ciao Marco... sempre nei nostri cuori...
Non ci provino neanche a tentare di affiancare qualcuno di questi nuovi polli a Marco.........................
 
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