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valverde76

Novellino
20 Ottobre 2008
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Innanzitutto ti ringrazio per la risposta, come sempre esauriente e precisa. Ho letto di recente buona parte dei tuoi post relativi all’allenamento e alla fisiologia applicata al ciclismo. Ti faccio i complimenti perché da tutto quello che scrivi emerge una grande competenza tecnica degli argomenti (diversamente da altri preparatori veri o presunti che scrivono sul forum) e l’abitudine a suffragare ogni teoria o considerazione con dei dati oggettivi, misurabili e per quanto possibile scientifici. Non è una sata, ma la semplice impressione che ho avuto leggendo i tuoi post. Soprattutto, mi hai confermato alcune convinzioni maturate dall’esperienza personale (ho 35 anni e circa 10 di ciclismo amatoriale agonistico alle spalle) e da diverse letture, forse un po’ disordinate, sull’allenamento nel ciclismo. Tra le altre cose, la frase che spesso citi di Joe Friel sulla necessità di pianificare l’allenamento mi ha talmente incuriosito che la settimana scorsa ho letto “The Cyclist’s Training Bible”. In pratica l’ho divorato in pochi giorni. È un grande libro il cui pregio principale non sta tanto nel proporre e descrivere mezzi allenanti “miracolosi” quanto nello spiegare come si organizza un piano annuale di lavoro e nell’aprire gli occhi su molti errori che i ciclisti spesso commettono, e che sotto sotto sanno di commettere, ma da cui per tutta una serie di motivi non riescono a liberarsi (vedi la tendenza ad allenarsi troppo, a non rispettare i tempi di recupero, a fare giorni di scarico troppo tirati e, di conseguenza, giorni di carico in cui non si riesce a spingere a fondo). Friel ritiene che la Forza sia una delle tre abilità primarie da sviluppare nel ciclismo (insieme alla Resistenza e alla “Speed Skill”, cioè alla capacità di pedalare ad elevate frequenze). E infatti propone un programma di allenamento per la forza muscolare basato in gran parte sulla palestra e sull’utilizzo delle macchine (rimane molto vago, invece, sui mezzi specifici di allenamento della forza in bicicletta).
Capitolo SFR. Che ci fosse qualcosa che non tornava l’ho intuito da parecchi anni, basandomi un po’ sulle letture e molto sull’esperienza personale. Sotto quest’ultimo profilo, la considerazione che posso fare è la seguente: in concreto le SFR non mi hanno mai portato benefici tangibili (e neanche appena percettibili…) in termini di forza o, se si vuole, di capacità di spingere rapporti più duri quando si utilizzano delle frequenze di pedalata ottimali. Più redditizi in tal senso si sono rivelati lavori a frequenze di pedalata superiori, ma comunque più basse di quelle ottimali (il range è più o meno quello da te individuato di 60 rpm ca.) e a frequenze cardiache di soglia o leggermente inferiori. Con lavori di questo genere (naturalmente si tratta di valutazioni approssimative, non oggettive e misurabili, ma comunque abbastanza affidabili in quanto confermate da tempi di scalata inferiori sulle salite di riferimento), nel giro di un mese sono riuscito a spingere, più o meno, due denti in più a parità di pendenza. Nonostante questo, tutti gli anni in cui ho seguito un programma di allenamento (autocostruito…) ho inserito un ciclo di SFR nel periodo di base, con risultati, puntualmente, pressoché nulli (ben più redditizi, sempre nel mio caso, si sono rivelati i lavori intervallati in pianura, in soglia o anche ad intensità inferiori). Le idee preconcette, però, sono difficili da abbandonare, e dopo che per anni tutte le riviste, i libri e i preparatori ti hanno martellato i cosiddetti sull’utilità delle SFR per l’incremento della forza muscolare, continui a pensare che le SFR aumentino la forza anche se, nella tua esperienza personale di allenamento, non è mai successo. Paradossalmente, pensi che i mancati benefici siano dovuti magari all’esecuzione sbagliata, a una durata non ottimale di ripetizioni e recuperi, a un’influenza che ti ha compromesso la preparazione, al maltempo che non ti ha consentito di allenarti abbastanza. E non giungi mai alla conclusione, che magari intuisci ma non riesci consciamente a metabolizzare, che le SFR siano un allenamento di utilità molto dubbia o, forse, inesistente. D’altra parte Galileo, nel Seicento, raccontava di alcuni aristotelici che sezionando un cadavere e constatando che i nervi partivano dal cervello e non dal cuore, come voleva Aristotele, avrebbero affermato qualcosa del tipo: “Se Aristotele non avesse scritto il contrario crederemmo anche noi che i nervi partono dal cervello”…
Con questo non voglio dire che effettivamente le SFR classiche siano inutili. Dico solo che lo sono nel mio caso. Questa, insomma, è la mia esperienza, che potrebbe essere anche molto diversa o addirittura antitetica rispetto a quella di altri ciclisti.
Affrontando la questione da un punto di visto più scientifico, nei fondamenti che stanno alla base delle SFR c’è qualcosa di poco convincente. Mi dispiace un po’ parlare in questi termini, che volente o nolente finiscono per mettere in discussione una persona di grandissima cultura e competenza come il compianto Aldo Sassi, l’inventore di questo mezzo di allenamento. Nel suo libro “Dalla parte del ciclismo” Sassi chiarisce i presupposti teorici delle SFR (un estratto di questa spiegazione è stato postato nel forum da folinhouse col titolo “SFR: schiariamoci le idee”). Secondo Sassi, paradossalmente, un allenamento ad intensità relativamente bassa come le SFR servirebbe non tanto e non solo ad incrementare la forza muscolare, quanto a migliorare la capacità aerobica del soggetto, e infatti Sassi le chiama anche “salite di forza aerobica”. Sassi mette infatti in rilievo come la condizione di “sofferenza aerobica” che si determina in salita sia dovuta al fatto che le contrazioni muscolari sono più lente (minore cadenza di pedalata e maggiore difficoltà a contrarre i muscoli a causa della pendenza) e, di conseguenza, il flusso sanguigno viene ostruito ad ogni pedalata per periodi relativamente lunghi. Flusso sanguigno più lento e difficoltoso significa, in ultima analisi, meno ossigeno che arriva ai muscoli, e questo spiega perché in salita si vada incontro a condizioni di affaticamento locale (muscolare) che in pianura possono essere raggiunte solo ad elevate intensità (questo, per inciso, è anche il motivo per cui pedalare agili in salita permette di mantenere una maggiore freschezza muscolare, determinando delle contrazioni muscolari più brevi). Il discorso di Sassi non fa una grinza, e personalmente mi sento di condividerlo in pieno. Ciò che invece, secondo me, non è condivisibile, sono le conclusioni a cui Sassi arriva partendo da questo presupposto. Secondo lui, infatti, le SFR sarebbero molto utili in quanto, costringendo l’atleta a contrazioni muscolari molto lente e prolungate (35-40 pedalate al minuto) lo abituerebbero a lavorare in condizioni di “ipossia muscolare”, cioè di scarso afflusso di ossigeno ai muscoli, e in ultimo innalzerebbero la sua tolleranza a queste condizioni. Conclusione implicita di questo ragionamento è (a mio parere) che gli scalatori hanno un’elevata capacità di resistere a tali condizioni di ipossia e di contrazioni lente e prolungate quando affrontano una salita. Dove sta allora l’errore, se di errore si tratta? Nel fatto che, come è noto, ciò che caratterizza uno scalatore di alto livello (come afferma lo stesso Sassi) è un elevato valore di VO2MAX, cioè di massimo consumo di ossigeno. In altri termini, lo scalatore riesce a far fronte a tali condizioni di ipossia muscolare non perché sopporti meglio le contrazioni lente e prolungate ma perché, riuscendo a veicolare grandi quantità di ossigeno ai muscoli, anche quando il flusso sanguigno, in salita, diviene più lento e difficoltoso, le capacità genetiche del soggetto (quantità di sangue pompato dal cuore, capacità polmonare, livello di emoglobina, etc.) riescono comunque a garantire ai propri muscoli una buona quantità di ossigeno, e in definitiva, gli consentono di tenere una buona andatura. Chi invece non ha eccellenti livelli di VO2MAX, ossia non veicola grandi quantità di ossigeno ai propri muscoli, nelle condizioni di ipossia determinate dalla salita è costretto ad andare più piano. Le SFR, in definitiva, restano anche secondo me un allenamento ibrido e aspecifico (non allenano la forza, non allenano le capacità aerobiche del soggetto, etc.), come tu hai spiegato in molti post.
Lo stesso Sassi, peraltro, finisce almeno in parte per contraddirsi. Dopo tutto questo discorso sulle SFR, in diverse occasioni fa delle affermazioni che vanno in direzione opposta (si vedano le sue, purtroppo, ultime risposte sul sito della Gazzetta nell’ambito dell’Operazione Fiandre). Richiesto dei mezzi più efficaci per migliorare in salita, lui stesso asserisce che nel migliorare la prestaziona in salita le SFR hanno un impatto abbastanza trascurabile, e che i lavori che innalzano davvero i propri standard prestativi sono quelli ad alta intensità (ripetute, lavoro intermittente e intervallato, etc.)!!! In altri termini, tutti quei lavori che innalzano il VO2MAX dell’atleta e, in qualche misura, la capacità di spingere rapporti impegnativi. A conferma di ciò, Andrea Morelli ha dato una risposta simile in merito all’utilità e ai fondamenti scientifici delle SFR. La domanda, per inciso, gliel’avevo postata io nell’ambito della stessa Operazione Fiandre, e qualcuno ha riportato la risposta in un thread di bdc forum (non ricordo quale). In sostanza Morelli riconosce che non esistono degli studi scientifici in grado di dimostrare l’utilità delle SFR e, ad esempio, la loro preferibilità o meno rispetto ai lavori in palestra. Però, aggiunge, le SFR sono ormai entrate nella pratica quotidiana dell’allenamento a tutti i livelli, dai pro agli amatori, e si può quindi supporre che siano veramente utili anche se al momento non è stato ancora provato.
Con questo non voglio demolire il lavoro di persone che hanno fatto dello studio e della ricerca sull’allenamento il loro lavoro e la loro passione, e le cui competenze sono fuori discussione. Di sicuro, però, i dubbi restano. Le perplessità sono state tutt’altro che fugate, ma addirittura confermate, proprio dall’Operazione Fiandre. Leone, il tester ormai divenuto famoso tra tutti gli appassionati, è andato incontro a un parziale fallimento. È riuscito a portare a termine il Giro delle Fiandre, seppure fra grandi patemi, ma in sostanza, con tutta probabilità, ci sarebbe riuscito anche allenandosi in maniera stocastica, con semplici uscite aspecifiche in bici. I test fatti a febbraio (o a marzo, ora non ricordo), dopo un autunno e un inverno di preparazione largamente incentrata sulle SFR, hanno palesato valori di potenza alla soglia più bassi di quelli fatti registrare ad ottobre, all’inizio della preparazione!!! Naturalmente anche qui i dati vanno incontro a un’interpretazione non univoca. Leone, dal punto di vista caratteriale e motivazionale, si è rivelato tutt’altro che un buon tester. La sua preparazione è stata un misto di allenamenti irragionevolmente lunghi quando non servivano, seguiti di conseguenza da ovvi malanni (influenze, problemi alle ginocchia, etc.) e da altrettanto irragionevoli soste (uscite su strada sostituite da brevi allenamenti sui rulli) a causa della limitata motivazione,che l'ha portato a saltare molte uscite. Insomma, difficile dire se la paradossale involuzione delle sue prestazioni nel periodo in cui sarebbero dovute migliorare sia dovuta a un’impostazione sbagliata o agli errori del tester stesso. Il dato però rimane, e dice che dopo quattro mesi di preparazione specifica con ampio spazio dato alle SFR la potenza alla soglia di Leone è addirittura diminuita rispetto al periodo in cui stava “portando a spasso la bici” senza tanti fronzoli, dopo aver ripreso da una lunga inattività di parecchi anni.
Scusa per il romanzo. Forse sono andato un po’ off topic.
 
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valverde76

Novellino
20 Ottobre 2008
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In ogni caso, ferme restando le considerazioni fatte sopra sulle SFR e l’importanza fondamentale del VO2MAX in salita, resto convinto che grande importanza nella prestazione ciclistica ce l’abbia anche la forza. Lo stesso Friel, come già detto, vede nella forza una delle tre abilità primarie nel ciclismo, che va quindi adeguatamente allenata. È vero che la differenza, come dici tu, la fa soprattutto la capacità di sopportare a lungo carichi relativamente bassi e infinitamente inferiori a quelli massimali di un’atleta, ma in ogni caso, a parità di caratteristiche aerobiche, di VO2MAX e di rpm, un atleta che su una determinata pendenza riesce a spingere, ad esempio, un rapporto più duro di due denti, andrà più forte di quello che ne spinge uno più leggero di due denti. E in questo caso, a mio parere (è comunque una semplice supposizione), la differenza la fa la forza muscolare, in qualunque modo la si voglia definire.
Per tornare alla mia domanda iniziale, naturalmente stabilire densità e mezzi allenanti in maniera generica è impossibile. Però, secondo te, qual è la corretta collocazione dei vari mezzi allenanti da te elencati nelle varie fasi della periodizzazione annuale? Ad esempio, le partenze da fermo e simili possono essere inserite già nel periodo di base o presentano delle intensità troppo elevate per il periodo? E gli altri mezzi da te citati?
 
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Roberto Massa

t.me/massarob
11 Marzo 2008
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n+1
complimenti per l'ottima disamina su punti più specifici riferiti alle SFR che hai elencato, alcuni ulteriori punti di riflessione
1) perchè le SFR piacciono parecchio ai ciclisti? Semplicemente perchè la loro esecuzione "classica" richiede un intensità relativamente molto semplice da sostenere per tempi di media-breve durata. Seguivo un atleta di buonissimo livello che era fissatissimo con sfr e palestra, abbandonate entrambe per concentrarsi su lavori di intensità e innalzamento capacità aerobiche submassimali, il miglioramento oggettivo (valori W/Kg) sono stati evidenti e sorprendenti.
2) ribadisco il concetto che le SFR inducono un effetto controproducente sulla corretta azione di pedalata perchè stravolgono un corretto "schema" (più correttamente pattern) neruomuscolare di attivazione/coordinazione nell'azione di contrazione dei muscoli, angolo di spinta, componenti vettoriali rispetto ad una pedalata a cadenza "normale".
3) la posizione di Firel in materia è abbastanza cauta (è un coach non un fisiologo). Reputo gerarchicamente superiori e più utili analisi (e non sole indicazioni) oggettive come queste: http://www.aboc.com.au/tips-and-hints/why-we-dont-use-strength-endurance-anymore
Il valore "forza" è sopravvalutato perchè ciò che realmente crea la differenza tra atleti, a parità di Vo2max (discriminante primaria) è l'efficienza di pedalata: questa si raggiunge lavorando sulle capacità di contrazione/coordinazione muscolare (elemento ALTAMENTE sottovalutato), componenti vettoriali utili (tangenziali e non radiali) di spinta, riduzione dei punti morti.
Lavorare sull'efficienza aumenta la potenza a parità di dispendio energetico o la potenza a parità di consumo di O2.
Le componenti di miglioramento in tal senso non includono in nessun caso l'applicazione "a compartimento stagno" di allenamenti sulla forza ma sono spesso incentrati sulla capacità di resistenza alla potenza (concetto che implica quindi anche la componente velocità=cadenza). Va rimarcato che la massima forza è inversamente proporzionale alla velocità di contrazione delle fibre (la massima forza è raggiungibile con una contrazione isometrica e/o eccentrica+concentrica: pliometria) ma all'atto pratico questo si scontra col fatto che singole contrazioni muscolari protratte per singola durata aumentano lo stato di affaticamento e diminuiscono l'irrorazione specifica.
Non è un caso che negli ultimi 10 anni (e la farmacologia inizialmente è intervenuta per innalzare la componente aerobica-vedi doping ematico-e non l'anabolismo muscolare) si è assistito ad un innalzamento delle cadenze e una diminuzione lineare con questo andamento dei tempi di scalata= la coppia torcente applicabile da atleti con queste caratteristiche (in primis, % massa magra) raggiunge un limite che può e deve essere compensato con una maggior velocità di contrazione muscolare (genericamente svantaggiosa* ma allenabile o, fino a tempi recenti "tamponata" con altri mezzi, vedi sopra).
* a parità di aumento di potenza aumenta la capacità di sostenere cadenze superiori. Lo svantaggio risiede quindi in soggetti con valori statisticamente mediamente bassi di potenza/peso

Non è l'atleta che riesce a spingere 2 denti in più o in meno che fa al differenza: è l'atleta che a parità di consumo di O2 raggiunge una % di potenza rispetto al valore temporale per quello sforzo inferiore agli altri e/o che riesce a ripeter più picchi/recuperi mantenendo una minima flessione di potenza. Ragionare in termini di rapporti e sola cadenza è troppo limitante.

Come strutturare le varie componenti: secondo i 3 passaggi cronologici di "compartimento" condizionale validi praticamente per ogni sport: la sequenza è velocità->forza->resistenza.
Il che nella pratica, generalizzando, si traduce in
allena la tecnica di pedalata (non sono richieste intensità elevate)
allena tecnica con componente di forza (partenza da fermo, in salita)
allena la resistenza alla potenza (sui due assi, picco e durata, in funzione dei tuoi punti deboli e/o obiettivi specifici della disciplina)
richiama continuamente, e a seconda delle esigenze, tecnica e forza ad intensità "utili", es richiami in salita a 55-60 rpm ma ad intensità ~85-90% FTP, richiama tecnica ad intensità che possono essere anche ad esaurimento (es 3' in salita a max cadenza sostenibile).
 
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valverde76

Novellino
20 Ottobre 2008
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Pedivella
9 Luglio 2008
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Tuscia
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Bici
Canyon CF SLX
Anch'io ho letto la "bibbia" di Friel ed avevo lo stesso dubbio riguardo la forza e come allenarla come qualita' di base.
Dal suo blog, suggerisce ripetizioni submassimali di brevi intensita' e con rapporti elevati (bassa intensita') e se ricordo bene dice anche che ha modificato l'allenamento specifico che prima era tipo SFR.
Sempre dal libro, mi sembra di capire che la forza possa essere bene allenata anche in periodo di transizione/base con attivita' tipo mtb/ciclocross e corsa in salita.
Chiedo a Roberto la sua opinione al riguardo.
 

tommi_87

Apprendista Passista
22 Maggio 2008
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senigallia
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Bici
cervelo R3
ciao roberto, probabilmente il tema è stato gia trattato ma non sono riuscito a trovare informazioni utili al mio dilemma.
vengo al punto: faccio triathlon (olimpici) e in media faccio 6/8 allenamenti settimanali (12/14h totali) da due stagioni.
essendo arrivato al termine della stagione ed avendo programmato l'inizio della preparazione vera e propria per il 2012 a dicembre (nuoto e corsa) e febbraio (bici, a meno di comprare rulli) volevo chiederti se secondo te è meglio un periodo di scarico totale (2/3 settimane senza far nulla, magari qualche calcetto sporadico) oppure continuare ad allenarsi, ma riducendo notevolmente i carichi (fino a dicembre) e magari puntare su esercizi per tecnica di nuoto e magari qualche uscita in gruppo in bdc.
grazie
 

looping

Scalatore
7 Settembre 2007
6.483
149
Tuscany
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in costruzione ...


ciao, non so se il tuo discorso e' piu' specifico ma qui Roberto ne parla

..http://www.massarob.info/2010/10/inverno-tempo-di-cross-training.html
 

Roberto Massa

t.me/massarob
11 Marzo 2008
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essendo il triathlon uno sport fondato sulla necessità di essere polivalenti, ti consiglio sì di effettuare un 2/3 settimane di riposo ma se possibile riprendere l'attività senza scindere in 2 blocchi separati le attività. In mancanza di tempo/maltempo meglio optare sui rulli piuttosto che abbandonare l'allenamento ciclismo.
Eviterei il più possibile il calcetto, anche se nel tuo caso la muscolatura è abituata a contrazioni eccentriche/impatti (corsa) è comunque statisticamente l'attività amatoriale con maggior tasso di infortuni e non porterebbe a benefici specifici per la tua disciplina. Il gioco non vale la candela, in questo caso.
 

tommi_87

Apprendista Passista
22 Maggio 2008
1.129
6
senigallia
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Bici
cervelo R3
grazie per la risposta
leggendo anche l'articolo sul tuo sito sul cross-training avrei ancora un paio di dubbi.
1)per fase di riposo passivo cosa intendi di preciso?si interrompono tutti gli allenamenti e si sta fermi o comunque qualcosa si fa. magari a ritmo tranquillo?
2)ho visto nella tabella sul cross training che la corsa in salita è preferibile a quella tradizionale, il mio dubbio è su cosa intendiamo per corsa in salita e se il ritmo da tenere è pari a quello che si terrebbe nella corsa in pianura
 

Roberto Massa

t.me/massarob
11 Marzo 2008
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1) molti atleti, specie se hanno fatto una stagione lunga ed intensa, ANCHE a livello matoriale, necessitano di un 10-15 gg di riposo passivo. Se attivo le intensità sono blande.
2) la corsa in salita (meglio se su terreni sterrati e ripidi) è preferibile per un ciclista poichè: non richiede tempi di adattamento ad impatti, gesto tecnico e soprattutto adattamento muscolare a fase eccentrica muscolare. Inoltre permette di mantenere angoli di spinta simili a quelli sul mezzo specifico. I ritmi sono in funzione della preparazione, il lavoro in salita con FC è particolarmente gestibile.
 

G_trail

Gregario
28 Marzo 2009
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Fasano (BR)
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Fondriest TF2 dura ace mtb Haibike Greed XX
A grandi linee... E' corretto impostare la pianificazione degli allenamenti con un crescendo di intensità per i lavori aerobici per migliorare questa capacità e parallelamente lavorare sull'attività anaerobica con un incremento della durata di questi esercizi?
 

Roberto Massa

t.me/massarob
11 Marzo 2008
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non necessariamente, una linearità di crescita è (fisiologicamente) impossibile, meglio lavorare su blocchi e successivi recuperi.
Per quanto riguarda le capacità anaerobiche, anche adottando metodiche derivate da altre discipline, i richiami di questo tipo vanno svolti e sono più efficaci soprattutto a ridosso di eventi importanti (gara, a tal proposito c'era un interessante articolo su Le Scienza, anno 1996 ma non ricordo il mese, posso controllare).
L'ambito anaerobico va da pochi secondi (con prevalenza di carico neuromuscolare) fino a circa 120''. La capacità di sostenibilità in questo ambito (lavoro) è quantificabile analizzando dati provenienti da un mis di potenza.
 

sepica

Ammiraglia
10 Agosto 2004
20.714
2.664
Roma Eur
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BMC slr01 TREK Madone
ovvero....?
meglio lavorare ad intervalli e recuperare, ma poi lo step successivo quale' quello di intensificare il lavoro sotto forma di tempi (lavoro/recupero) o di intensità?
 

Roberto Massa

t.me/massarob
11 Marzo 2008
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Bici
n+1
ad un cito .."ovvero?" di richiesta "omogeneizzato in pillole e risposta istantanee"
consiglio
il miglior acquisto possibile, il libro "L'allenamento ottimale" di J. Weineck
e poi se ne può riparlare
 

G_trail

Gregario
28 Marzo 2009
630
6
Fasano (BR)
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Bici
Fondriest TF2 dura ace mtb Haibike Greed XX
io credo che Roberto volesse dire che il programma costruito sull'atleta debba essere vario, interessando cioè varie "zone allenanti", secondo un avvicendamento ottimale che terrà conto tra l'altro di lacune ed obiettivi dell'atleta stesso. La crescita di forma quindi, più o meno lineare, sarà dettata dalla supercompensazione









...emh.... vado a comprare anche io il libro
 

fabio40

Pignone
26 Agosto 2010
210
9
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colnago
Ciao roberto una info veloce veloce...
In piedi sui pedali in presa bassa scatti e allunghi veloci lavora maggiormente il comparto muscolare della coscia posteriore? bicipite e semimenbranoso?
Grazie
 

Roberto Massa

t.me/massarob
11 Marzo 2008
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non ho un EMG come su pedalata "da seduti" per poterti dare una risposta univoca ma indubbiamente e indipendentemente che si svolga uno scatto, la catena posteriore viene richiamata ad un lavoro supplementare rispetto alla posizione in sella. Ciò che cambia notevolmente è anche il punto di applicazione di massima forza sui pedali, molto più vicino al punto morto inferiore (a seconda dello stile di pedalata nell'azione sui pedali).
 

ValeXX

Apprendista Cronoman
15 Luglio 2009
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Ciao Roberto, vista la grande utilità di questo topic, ti faccio una domanda che forse chiarirà finalmente le idee di molti (penso di non essere l' unico in questa situazione... anzi... )
Il fondo...
Ci sono molte discussioni, di cui una di dimensioni bibliche, riguardanti questo delicato argomento nelle quali si sente dire tutto ed il contrario di tutto...
Si passa da "è un lavoro inutile" a "se non si fanno almeno 1500/2000 km di fondo si vanificano tuttti i successivi lavori della stagione" nel giro di due post...
Allora, molti sono nella mia situazione, ovvero 4/5000 km annui, uscite regolari SOLO da Aprile a Ottobre ovvero con l' ora legale mentre da Novembre a Marzo (per chi come me ma anche molti altri non ha / odia i rulli) si pedala solo nel week end (in quest' uscita si cerca di curare la tecnica di pedalata e di privilegiare i ritmi di fondo Z2 toccando però anche ritmi più alti e lavorando a diverse cadenze magari inserendo anche qualche salitella, insomma, qualità sempre...), in settimana però non si sta sul divano, running, nuoto, ciaspole... Sto attualmente preparando una 10k di running, obiettivi modesti percarità (4.30/4.40 al km.) però mi accontento...

La fatidica domanda: Dopo molti mesi di mantenimento aerobico pedalando però solo nel week end per 2/3 ore (a volte il sab, a volte la dom, a volte entrambi, raramente nessuno dei due), con l' arrivo della bella stagione è necessario fare ancora questo periodo di fondo lento per X km o si può dare il via a lavori più specifici (forza/potenza/soglia e via discorrendo) fin da subito??

Se da un lato per chi inizia da zero alcuni km di adattamento sono indispensabili, vale lo stesso discorso per chi pur pedalando solo una volta a settimana non ha mai staccato per tutto l' inverno??

Credo sia un dilemma di molti, e le risposte sono sempre contrastanti...

Grazie.....
 
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dominguez

Novellino
8 Luglio 2009
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Ciao Roberto, ti ringrazio per i tuoi consigli, davvero gentilissimo.
Volevo porti anche io un quesito.
I miei obbiettivi sono quelli di essere competitivo nelle gare di mtb principalmente XC da 90/120 minuti circa di durata. Quindi una resistenza molto alta alle alte frequenze cardiache per 3/4 di durata della gara.
Pertanto nella pianificazione ideale della settimana di allenamento sarebbe meglio prevedere dei giorni di recupero completo? oppure inserire delle sessioni di recupero attivo o meglio di uscete a ritmo di fondo lungo/medio?

Mi spiego meglio, nella pianificazione settimanale è preferibile la soluzione A:
lun- riposo
Mar- allenamento su strada di 140 minuti
mer- riposo
giov- allenamento mtb di 140min alta intensità
ven- riposo
sabato- uscita a ritmo blando di 90 minuti
domenica- gara

oppure la soluzione B:
lun- riposo
Mar- allenamento su strada di 120 minuti
mer- uscita di 120 minuti a fondo lungo/medio
giov- allenamento mtb di 120min alta intensità
ven- riposo
sabato- uscita a ritmo blando di 90 minuti
domenica- gara

quale pensi che sia la programmazione migliore e perchè?
grazie.
 
Stato
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