Condivido il post di uno dei tanti che ha fatto l'everesting......
IL MIO EVERESTING
Sono passati un paio di giorni dal mio Everesting. Omologato con successo il tentativo, rifletto ora a mente lucida sull’intera esperienza. Solo adesso, decantate adrenalina, emozioni e fatica, riesco a rivisitare quel 9 agosto iniziato presto e finito tardi. A riflettori spenti e pedali fermi rivivo con apparente calma quella giornata, quelle che l’hanno preceduta e seguita.
Può sembrare strano ma ad affiorare prepotentemente sono istantanee, fotografie di visi. Quelli di mia moglie e delle mie bimbe, dei miei cari e dei miei amici che hanno accompagnato e riempito, con la loro presenza, quella lunga giornata.
A ben pensarci non poteva essere altrimenti. I ricordi si fermano agli aspetti umani, più che alla prestazione in sé. Come a scuola: non ricordiamo più contenuti e lezioni, ma i compagni e gli aneddoti che hanno riempito lunghe ore di studio.
Non posso competere ad alti livelli, età e podio sono due termini che si escludono a vicenda. Non resta allora che la sfida con se stessi, quella più dura, e forse, quella più vera. Cullo quest’idea da un paio d’anni. Forse segretamente e inconsapevolmente la preparo. Ma solo una quindicina di giorni fa la condivido con pochi amici. L’accolgono con entusiasmo. Un contagioso “si può fare”, nessuna pazza idea. So che è una sfida dura, di testa (o da testa dura). La scelta cade sulla”mia” valle: Terragnolo. Conosco angoli e sentieri di questo piccolo capolavoro della natura per averli corsi e percorsi molte volte. Da solo o con gli stessi amici che pochi giorni fa mi hanno sostenuto ed accompagnato. La corsa a piedi prima e quella in bici ora e Terragnolo sempre lì ad aspettarmi. Gioco in casa e questo mi dà sicurezza.
È proprio questo aspetto paesano che colora e caratterizza questa mia sfida: me ne rendo conto ora, a
ruote ferme.
Se i minimi dettagli tecnici li ho curati io, a quelli organizzativi hanno pensato, spesso a mia insaputa, la mia famiglia e i miei amici. Se chiudo gli occhi e ripercorro le salite e le discese rivedo proprio loro: sguardi complici, contagioso entusiasmo, giuste parole spese al momento giusto. Devo questo successo anche a loro. Ho pedalato in sicurezza. Non conoscevo i dettagli, ma sapevo che nei momenti importanti loro ci sarebbero stati. Basta poco davvero. La loro presenza dietro la curva, la foto col cellulare, una battuta: pochi secondi, pochi pedalate per passarli oltre non prima d’aver fatto il pieno della loro complicità.
Sono sorrisi che si sovrappongono: quelli di mia moglie e del suo
caffè al mattino, quelli di Thomas e Gianni che illuminano i minuti bui delle 4.00 del mattino. Sorrisi e presenze che spingono quando sembra non essercene più e quando il caldo confonde contorni e pensieri: se ci ripenso vedo, come in una sequenza filmica, quelli di Fabio e quelli di Sergio, Thomas ed Ivan, trio importante quest’ultimo che ha caricato e sostenuto il mio finale.
Tanti giri li ho fatti da solo: un corridore ha bisogno anche di solitudine e soprattutto di amici che sanno quando e se lasciarlo solo. Ho corso da solo, ho (ri)conosciuto i miei fantasmi, ho parlato con loro e navigato nelle mie burrasche di sogni. Conosco, ora e meglio, i muri accompagnano queste salite, i sassi che li disegnano, i giochi del bitume, il colore di alcuni tratti, la piacevole brezza in quota nella seconda parte dell’ascesa.
Mi diverte adesso anche il pensiero delle piccole strategie auto motivanti: il tornante, soprattutto. La metà salita che diventa la mia discesa fatta però di ulteriori 200 D+, ma discesa perché metà della salita l’avevo già fatta. Oppure il conto alla rovescia alternato al quanto già fatto. E gli amici ancora a ricordarmi di guardare il bicchiere mezzo pieno.
Salite e discese che si ripetono. Ingranaggi organizzativi oliati alla perfezione. Passaggi che diventano riti: la firma, il rifornimento d’acqua e l’amico che si aggrega o lascia. E la salita ad attendermi. Ma ci sono Paola, il sorriso delle mie bimbe e gli sguardi complici. Ad ogni passaggio aumenta la mia stima verso loro ed aumenta il legame con questa valle.
Passano le ore e l’evento personale diventa collettivo, quasi sfida e patrimonio giornaliero della comunità stessa. La partecipazione si allarga a macchia d’
olio complici i tag e i post su fb.
“Da quante ora pedala?”,“A che giro è?” sono le domande, me lo raccontano dopo, che attraversano le vie del paese. Curiosi sbirciano il foglio firma con i tempi di passaggio; gli amici, invece, monitorano cadenza e tenuta.
Li rivedo e li risento a dirmi che un giro è finito, che ne inizia un altro ma che è sempre uno in meno. Rivedo quel 14° giro in solitaria sotto un sole implacabile, lo sguardo preoccupato e complice di Paola e l’acqua fresca della fontana.
Rivivo gli ultimi giri quelli in cui si presenta il conto, ma sono quelli che scorrono più veloci. Un’esortazione li accompagna, la mia “Dai ripartiamo subito che voglio finire presto” e il rumore delle scarpe che si attaccano al pedale. E pedali che iniziano a girare.
È quasi notte quando scrivo questo post, più o meno la stessa ora in cui, un paio di giorni fa, ho spento il cronometro. Allora un cielo carico di stelle, ora invece gonfio di nuvole. Poco importa. Se chiudo gli occhi non sono solo. Non lo sono mai stato. Gio62.
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