Nei miei voli interni e totalmente autoctoni, fu lincontro di quella mia atleta con Marco, a definire la cornice del riferimento mitologico per quel ragazzo così unico sulla bicicletta, che tutti volevano vedere da vicino, sulle medesime strade e traiettorie, per poter dire: Lho visto dal vivo, senza il confronto con gli altri e me lo sono impresso nel cuore. Già, quello che scorreva, finalmente sera congiunto e si imponeva: Marco era una figura che sublimava Pan e Apollo! Un po luno, ed un po laltro.
Della divinità arcadica Pan, addirittura iniziale del suo agnomen, raccoglieva limprevedibilità (sia nel tratto agonistico di gara, che di allenamento), lamore per le forme artistiche (per Pane, come era altresì conosciuto quel dio, la musica e la danza; per Pantani la pittura, la musica, la stessa danza, ed una sottile vocazione poetica che superava le difficoltà sintattiche). Il dio proteggeva i cacciatori ed i pescatori, a cui era legato perché li vedeva come forme estreme, o acute, di quella natura contenitore esaustivo del bisogno primario delluomo: sfamarsi. Per cacciare e pescare servivano pure doti di furbizia, intelligenza, resistenza ed istinto. Marco difendeva (inascoltato o usato) la sua categoria, ovvero quei ciclisti che sono spesso cacciatori e pescatori in un mare di resistenza, dove per emergere, non basta essere lì, ma servono tutte le facoltà di nascita. Di loro era sindacalista prima ancora che per ruolo, per il bisogno di difendere lessenza della natura dello sport, ovvero, proprio latleta. Pan, quando era spinto dallamore verso la naiade Siringa e lei per respingerlo si trasformò in una canna con un aculeo (di lì il termine siringa), seppe far diventare quellarnese un flauto dal suono melodioso e trasportante. Pantani, nellimmedesimarsi sul sentito dipinto del ciclismo, modificò senza cancellare lumana sofferenza, la fatica e la cattiveria delle asperità, in un inno alla bellezza di quella prova, fino a donare in chi lo guardava, lebbrezza e la leggerezza dun gioioso sogno. Pan, era il dio delle selve che erano i luoghi in cui si confondeva; Marco, nei suoi dipinti, portava quei boschi che erano per lui un riferimento e che avrebbe sicuramente vissuto con intensità più estesa, se non fosse nato in questera metallica, intrisa dei connotati dello stress e del superficiale. La divinità arcadica era protettore dei greggi o pastori e ne presiedeva il sonno sul mezzogiorno, ma concedeva loro pure il sogno rivelatore del futuro, a volte denso di terrore (di lì il termine timor panico). Pantani, alle genti moderne, nelle ore di libertà, donava un gesto sublime da viversi come la costruzione, mattone su mattone, di unillusione, ma spezzava quegli incantesimi nelle altre ore del giorno, attraverso frasi rivelatrici (spesso inascoltate), quasi sempre avveratesi, alcune così pesanti per le crude verità contenute, da spingere i carnefici alla sua possibile soppressione: in fondo era un uomo, quindi vulnerabile. Pan, non simboleggiava valore sociale o morale, ma listinto. Marco, i valori li voleva simboleggiare nelle interpretazioni delle gesta, non voleva ergersi esempio per confondersi prete in un mondo che i preti non li possiede manco quando ne portano vestigia, mentre dellistinto era supremo siamese. La divinità arcadica, per il suo naturalismo, ed i significati del suo nome tradotti alla lettera dal greco (Pan, significa il tutto), spinse la filosofia a definire panteisti, coloro che affermavano che "tutto è Dio", oppure che "tutto è divino", identificando la natura come somma divinità. Panteisti furono, tra gli altri, Johannes Eckhart, Giordano Bruno, Friedrich Schelling e Wilhelm Hegel. Marco Pantani, ha avuto tutto per fare di lui lispiratore di una corrente che vuole leggere le gesta sportive, dallinterno del talento. Del genio e dellistinto portato sulle strade da allenamenti pettinati e da una vita che concedeva ai centri nervosi limportanza di non sottrarsi alla vita stessa, nel giusto dosaggio che le proprie facoltà istintivamente consentivano. Non luomo che diventa campione attraverso programmazioni da monaca di clausura, ma atleta che si priva fisicamente e mentalmente il limite minimo possibile, per raggiungere, nel proprio acuto dipinto, lespressività più vera, profonda e intensa. Dellatleta che insegna agli allenatori, quanto sia, proprio il talento, la prima ed insostituibile pagina da mettere nel cuore e nel cervello, affinché lo sport divenga realmente una testimonianza del sublime dono della vita. Unellisse che non va mortificata con fili, macchinari, impulsi e quadranti di quellorrida e criminale matematica che vuole dare esattezza e risposte, a ciò che è più grande di noi, perché lignoto lha impresso, senza leggi, allinterno dellinsieme dun copro e di una mente.
Apollo, che nella mitologia possiede diverse sovrapposizioni depigone col meno noto Pan, era il dio della luce, delle arti e della bellezza. Un dio che era arrivato, pur nelle immediate dimostrazioni di divinità, alla considerazione piena del ruolo, con grandi difficoltà indipendenti da lui. Di questa figura mitologica, Marco, ha rivissuto il tratto più completo e convinto. La luce di Phoebos (il brillante greco, altro nome dApollo), viveva in Pantani quando lo incontravi sui segni della sua gestualità sulla bicicletta. Era il trasporto narrato da chi lo incontrava in allenamento, prima ancora di ciò che si vedeva quando partiva nei suoi voli dimpresa agonistica. Era il fascino che trasmetteva e che assumeva, sempre, la luminosità nelle trasposizioni figurate Che fosse un artista nel suo modo di concepirsi ignaro del resto, ma solo vivendo le voci ed i richiami del suo interno, non è un pallino delle mie convinzioni, ma una lettura per chi gli stava vicino e non lo viveva con la perfidia dellinteresse e del tornaconto. A parlare per Marco ci sono i raffronti, le tracce indelebili, riassumibili nellintensità di altre forme del suo tratto: i dipinti innanzi tutto. Nessuno può negare quanta musicalità vi fosse nella sua pedalata e poesia nel suo modo di scrivere, aldilà degli errori in italiano. La scelta istintiva degli aggettivi, alcuni da pensare sconosciuti per uno di siffatta scolarità, eppure presenti fino al grido, come una disperata ricerca di far capire la necessità di una riflessione pronta allinversione o alla constatazione, sono tutti aspetti peculiari della poesia. Indi, la bellezza vissuta sullo stile perfetto che diventava ancor più evidente, quando la fatica confondeva lumana sofferenza, ed ogni singolo tassello del gesto, assumeva la verità dellessenza. La scalata di Oropa, incredibile a dirsi, ha trovato nellimpresa agonista eccelsa, un fatto secondario rispetto alla perfezione stilistica che portava sul mezzo, la trasmissione più fedele possibile delle sue qualità fisico mentali. Mai ho visto una tale congruenza nellintero sport. E dire che tutto ciò che si poneva fra Marco e la bici, era il frutto del suo seminato istintivo. Infine, per completare il confronto col mitologico Apollo, i suoi incidenti di percorso, prima della definitiva consacrazione. Già, se per la divinità erano gli altri dei, ed in particolare Zeus, ovvero suo padre, nonché sommo dOlimpo, a creargli difficoltà di percorso, sottoponendolo a penitenze e conseguenti purificazioni, anche per Pantani, ad un certo punto, sembrò farsi insuperabile lavversità del fato. Per questi motivi perse tappe importanti del suo segmento umano, ma seppe sempre rialzarsi fino a divenire invincibile fra i propri compagni dessere. Non si rifece solo di fronte allagguato che era stato scelto per lui, al fine di definirlo, appunto, un uomo. Lì fu ucciso, ma nonostante lo scopo raggiunto dai carnefici a livello terreno, non fu ammazzato il suo mito. Sì, proprio quel mito che urla ogni notte nelle rarefatte coscienze di quei boia, per trafiggere con larco dApollo, il loro umano senso di panico.
Maurizio Ricci (Morris)