Magari quello no, ma invidiare le emozioni che ha saputo trarre e lo spirito con cui ha affrontato questa avventura sicuramente.
Penso che molti di voi non sappiano che cosa si provi ad essere nella stessa situazione, non sapere come tornare a casa. Io l'ho provato. Come [MENTION=47688]Ipercool[/MENTION] ero lontano da casa, 70 chilometri, un copertone squarciato e una camera d'aria, che non potevo mettere, perché avrei forato, per la seconda volta, nel giro di 100 metri. Al contrario di lui, non avevo nessuno da chiamare, nemmeno gli amici, perché nonostante il sabato o erano al lavoro o in bici come me. Mi sono salvato con la carta di una barretta che ha protetto la camera d'aria dallo squarcio, e con quella, a passo d'uomo, attento alla minima pietruzza mi sono fatto 70 chilometri.
Per questo non lo invidio, perché so come ci si sente in quelle condizioni. Conosco la sensazione che ti prende. 60 chilometri sono una sciocchezza in bici, ma sono tanti se rimani appiedato.
Al contrario di lui, non ebbi aiuto nemmeno da chi mi vide fermo sulla strada. Uno mi chiese persino se avevo bisogno, ma quando gli risposi di sì, proseguì senza fermarsi. Ed era in salita.
Detto questo, la mia disavventura, come quella di Ipercool, è uno dei ricordi più intensi della mia carriera ciclistica e quando posso la racconto. E penso che per lui sarà lo stesso. Ma arrivare a casa con oltre tre ore di ritardo non mi fece piacere, soprattutto perché temevo di forare di nuovo da un momento all'altro in una zona disabitata. Mi potei rilassare solo quando ritornai sulla costa, perché ormai ero arrivato e al limite avrei camminato.
Il copertoncino l'ho conservato per anni per mostrare a tutti lo squarcio.
L'epica della (dis)avventura è bella solo a posteriori, quando ci sei dentro un po' meno.