Sono d'accordo al 100% con l'articolo.
Il problema è sicuramente più evidente nei grandi giri, mentre le Classiche monumento più o meno rispettano l'andamento tradizionale, con varianti anche loro, ma minori. A volte anche migliorative, tipo l'aver tolto l'arrivo ad Ans dalla Liegi.
Nei GT invece la politica dell'audience, del "prêt-à-porter", della tappetta con gli scattini negli ultimi 5km, è ormai palese.
Si crede (a torto) che siccome la corsa tiene in classifica un
nugolo di corridori in pochi secondi fino alla fine, allora resta più aperta.
Mentre non è così.
La corsa è aperta, nei fatti non nella teoria dei numeri, solo fino a quando c'è
un percorso che consente a qualcuno di far saltare il banco.
Basti pensare all'impresa di Froome a Bardonecchia, per citare la più grande impresa del dopo Pantani.
Il
dislivello totale, anche lui, non deve ingannare. Non è questo l'indice di durezza dei GT.
È vero che lui sale, ma è vero che serve solo a fare tappe da criceti, molto movimentate (durissime eh, sia chiaro). Purtroppo però nel frattempo ne fanno le spese tutti,
dai velocisti ai finisseur. Corridori che tipicamente hanno battezzato i più grandi campioni da classiche.
Tra l'altro, nessun appassionato di tattica e di tecnica, potrà mai lamentarsi di
una vera tappa piatta per velocisti, dove riesci ad apprezzare i treni che si sfidano, che scelgono perfettamente la sequenza degli uomini, che portano alla volata solamente quelli in grado di volare oltre i 60 all'ora. Mentre negli ultimi GT si sono viste volate con gente che non è nemmeno parente di uno sprinter (ma anche le cadute fanno audience...).
Idem per le cronometro, ben diverso fare una cronometro da 23km e magari 1200m, rispetto a 60km piatta completa. E dove sta la tecnica? Beh, chi non ci crede, basta provare a stare a cronometro per un’oretta abbondante filata……………
Per quanto riguarda
la distribuzione delle tappe, in particolar modo quelle di montagna, l’errore più grande di questi ultimi tempi è quello di non aver dato
il giusto premio a chi ha doti di continuità, che invece sono il succo del ciclismo a tappe.
Se metti una sola tappa di montagna, o magari due di seguito non durissime, ma prima hai un riposo e magari dopo hai una tappa facile, quei corridori che puntano sulla tenuta alla distanza sono penalizzati.
Intanto bisognerebbe definire alcuni canoni, del tipo:
una tappa di montagna dovrebbe avere sempre almeno 180km/4000m, poi magari ne devi fare 2 di seguito e prima o dopo un’altra tappa da 2500/3000m.
Una delle tappe alpine dovrebbe avere almeno 220km/5000 e magari proprio questa con l’arrivo in salita. Poi ovviamente si recupera con le tappe per velocisti e le cronometro...
In questo modo creeresti
un percorso aperto ad un ventaglio di corridori fortissimi, ma che non sono solo pesi leggeri adatti a pendenze da capre.
Ultima considerazione proprio sulle
salite durissime, sono il non ciclismo. Non hanno alcun senso, nei GT. Le potrebbero tranquillamente sostituire con delle prove sui
rulli.
Quando le pendenze vanno oltre certi valori, vengono meno tutte le possibili tattiche di corsa, ogni corridore è costretto a mettersi lì sui suoi valori (a maggior ragione ora che hanno gli strumenti) e salgono.
Dimostrazione invece sono le tappe lunghe e con tanto dislivello, ma salite più pedalabili, 10-12%, dove
diversi corridori con pesi e potenze diversi, possono decidere una gestione della corsa in maniera diversa, tutto a vantaggio dello spettacolo.
Invece ora nel 99% delle tappe basta collegarsi nell’ultima mezzora, a meno di non voler vedere qualche caduta o poco altro.